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Dio e' un'esperienza?
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Dio e' un'esperienza?
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3. La controintuitività delle idee religiose: la loro memoria e il contagio.
Guardiamo ora alla “scatola delle credenze”, alle rappresentazioni religiose che abbiamo in testa.
Ci sono alcuni cognitivisti che parlano della “controintuitività” di tali idee religiose. Che cosa intendono affermare? Che le rappresentazioni religiose sono rappresentazioni “strane” che nascono dal mettere insieme delle proprietà che appartengono a categorie diverse del mondo naturale. In natura ci sono le “cose non viventi”, - gli “artefatti” (come una bicicletta), -le “piante”, - gli “animali” e c sono le “persone”. Ciascuna di queste categorie ha le sue proprietà specifiche. Ora se si dice che una pietra “ascolta musica” si vialono le proprietà di una categoria; se si dice che una rosa ascolta i bisogni della gente si viola una proprietà; se si dice che un cane sa parlare si va ancora contro le proprietà di una categoria. Allo stesso modo se si dice che una persona è “invisibile”, o “non ha bisogno di mangiare per vivere”, o che non ha bisogno della “bocca per parlare” di nuovo si va contro le proprietà della categoria di uomo.
Ora le rappresentazioni religiose si servono di un passaggio da una categoria a un’altra: si parla ad esempio degli “angeli” o di “spiriti”: non sono visti, ma vedono, sono persone che passano attraverso le pareti. Passano da un luogo a un altro in maniera istantanea e senza servirsi delle ali. Ora che cosa sono le rappresentazione “sovrannaturali”? Secondo questi studiosi sarebbero semplicemnte idee che violano le aspettative comuni e si comportano in maniera “strana” perché si attribuiscono proprietà diverse dal quelle appartenenti al loro status.
Ma proprio perché si presentano in maniera strana (controintuitiva) si ricordano più facilmente e restano più fissate nella nostra testa. Altri autori come Sperber affermano che queste rappresentazioni sono “poco razionali” perché non fanno i conti con la realtà concreta e restano alquanto misteriose. Ora proprio per questo ci appaiono più profonde e ci emozionano di più.
Per esempio: La mamma dice a Roberto che Dio è dappertutto.
Roberto non capisce pienamente come qualcuno possa essere dappertutto. D’altronde il fatto che sua madre lo affermi gli dà un fondamento sufficiente per credere. Poiché si tratta di una credenza che non si presta a un’intepretazione finale chiara, resterà ancor più impressa nella mente come qualcosa di misterioso. Dunque le idee “controintuitive” si ricordano meglio delle idee normali, intuitive.
Le analisi delle credenze religiose nei loro aspetti, connessi ai gradi di razionalità e ai fattori emotivi diventano, nelle riflessioni dei due cognitivisti, una parte importante del discorso. In particolare, la diffusione delle credenze religiose trova qui un impiego del tutto singolare dovuto alla specificità dell’esperienza religiosa. L’esaltazione della “straneità” dell’esperienza religiosa comporta l’esaltazione del contagio. Detto altrimenti, l’idea si riduce a questa tesi: più il discorso religioso è ambiguo (Sperber) o rispettivamente ha carattere “controintuitivo” (fuori dalla norma) (Boyer) e più tale discorso fa presa e si diffonde a macchia d’olio. Nell’uno e nell’altro autore ciò che fa avere un sicuro successo all’esperienza religiosa è proprio la sua “non razionalità o semi-razionalità”.
L’esperienza religiosa puntando dunque più sull’emotività creerebbe il vero motivo profondo del fatto che le relative credenze si diffondano in maniera più facile e restino meglio impresse nella mente. Il motivo di debolezza dell’esperienza religiosa (poco razionale, a valore emotivo) diventa il vero motivo di forza o - come dice D. Sperber - “ il loro mistero crea dipendenza nei loro confronti”.
Queste idee dunque si diffondono in maniera più semplice e più veloce.
Le nostre idee non dipendono dalla logica, ma sono piuttosto formazioni pubbliche che si trasmettono come un’ “epidemia”, naturalmente secondo maggiori o minori disposizioni e una maggiore o minore ricettività e razionalità.
4. L’agire sulle idee religiose porta a un approfondimento.
Ciò che rende le rappresentazioni religiose così ricche e potenti è il fatto che esse danno origine a una varietà molto grande di azioni che includono cerimonie, preghiere, meditazioni, riti e pratiche rituali. In realtà è la pratica rituale che “impressiona”, “stampa immagini” nella nostra mente. Di più le idee religiose si allargano attraverso il contesto delle azioni religiose condivise. In questo campo hanno incominciato ad essere analizzate i rituali religiosi e le preghiere di aiuto. 5. Dio è un’esperienza a livello neuroscientifico.
I neuroscienziati accettano anzitutto una funzione diversa dei due emisferi della corteccia cerebrale: l’emisfero sinistro avrebbe una funzione più ‘ergotropica’, sarebbe più incline all’analisi, è legato all’azione e all’attività quotidiana, governa stati di veglia e le varie funzioni motorie dominanti, mentre l’emisfero di destra, che sarebbe non dominante, sarebbe identificato con il sistema ‘trofotropico’ e presiederebbe alle funzioni spazio-visive, alle funzioni creative, all’arte e sarebbe un sistema di mantenimento dello stato energetico.
Il rito avrebbe essenzialmente il compito di esaltare le due attività specifiche già presenti nella visione cognitiva della religione.
Il processo, infatti, che avverrebbe nella mente nell’esecuzione di un rituale (fatto di canti, ritmi, musica, profumi, incenso, movimenti, luci, colori) sarebbe dovuto fondamentalmente a un processo di ‘deafferentazione’ capace di portare alcune parti del cervello a un blocco inibitorio (cut off). Si tratterebbe della capacità di certe strutture del cervello, sotto iperstimolazione di alcune parti, di bloccare tutti gli input derivanti da altre strutture. La causa profonda di questo processo sarebbe da attribuirsi alla “ritmicità” e “ripetizione” che implicherebbero, nel contesto del loro svolgersi rituale, i meccanismi inibitori dell’ippocampo e dell’amigdala. Ne risulterebbero delle scariche emotive intermittenti in grado di portare a sensazioni soggettive di ‘assoluta mancanza di limiti’ connesse a sentimenti di pace, tranquillità e di unità dell’esperienza. La conseguente de-afferentazione del lobo parietale superiore posteriore dell’emisfero sinistro sarebbe così associata alla dissoluzione e scomparsa dei confini del’io/altro. In questo modo la causalità si allargherebbe e resterebbe - per così dire - senza il suo appoggio su particolari effetti analitici, mentre la de-afferenziazione della parte destra sarebbe associata con le sensazioni soggettive e con un senso di totalità e di esperienza olistica.

6. La prova che “Dio è un’esperienza”. (Persinger, Ramachandran).
Lo psicologo canadese M.Persinger ha individuato la zona cerebrale che provoca qualcosa come l’esperienza di Dio. Persinger infatti decise di applicare lo stimolatore magnetico ai propri lobi temporali. E come lui stesso descrive si trovò a fare un’esperienza di Dio. E’ Ramachandran che descrive il caso e commenta: “questo non mi stupisce troppo perché avevo sempre sospettato che i lobi temporali, in particolare il sinistro, avessero a che fare con l’estasi religiosa”. Sensazione di una presenza divina e di una comunione diretta con Dio.
Non si può stabilire se si tratta di esperienze “autentiche” o “patologiche”.
Sembra però che l’esperienza religiosa trovi una base biologica importante. Si può dire che “Dio è iscritto nei nostri geni”. Si può dire alla fine che “siamo programmati per credere”.

Conclusione. “Dio è più che un’esperienza”.
Una riflessione sulla biologia dell’esperienza di Dio non può arrivare molto lontano. La biologia infatti è un supporto non è l’ultima sponda del nostro modo di vivere e di conoscere. Il momento più alto è ciò che emerge dal mondo biologico o si intreccia con esso: è la forza dello spirito. Dio è la fonte originaria della nostra vita, è l’Intellectus Agens, è la luce per il nostro pensiero, è anzi il presupposto per ogni pensiero. Dio è un’esperienza, ha lasciato un’impronta che non si cancella mai nel nostro cervello. Il fatto che la neurologia e la biologia confermino le tesi su Dio non è l’ultimum, ma il penultimo: l’ultimo è il “significato dell’esperienza”. Ciò che nasce dall’esperienza di Dio. L’orizzonte di senso entro cui ci troviamo e che nonostante tutte le smentite i non-sense, Dio è sullo sfondo della nostra esistenza: è un’idea incancellabile dietro la testa. E’ un attrattore occulto. Come la forza di gravità ci attira verso il centro così Dio ci attira inconsciamente, inconsapevolmente; è una calamita, è un magnete ad alto potenziale.
Non sappiamo quasi nulla di Lui, ma sappiamo che c’è una forza centripeta che non ci permette di allontanarci da Lui.




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