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Pagina 2 di 3 I. IL COGNITIVISMO E LE CREDENZE.
L’idea fondamentale del cognitivismo sta nella comparazione della cognizione
con un programma di computazione come avviene in rapporto al computer. Attraverso
il processo di entrata (input) di dati e di dati elaborati in uscita (output)
noi possiamo capire i meccanismi della mente.
Per il cognitivismo noi dunque siamo come un computer. Abbiamo “immagini
in testa” e le manipoliamo in ordine alla necessità di rispondere
secondo le esigenze. Ora la domanda è semplice: Come mai abbiamo “rappresentazioni
religiose” e da dove vengono tali rappresentazioni?
Dunque il cognitivismo intende studiare come si formano le “rappresentazioni
religiose” nella nostra mente.
1. Le rappresentazioni religiose sono “semplici”.
Le rappresentazioni religiose - nonostante la dogmatica - sono semplici.
J. Barrett ha compiuto degli esperimenti facendo vedere come, anche nelle culture
molto sviluppate teologicamente, quando si porta nella vita quotidiana la teologia,
questa viene dimenticata e si vive della religiosità popolare e basta.
Anche se i teologi discutono complesse idee ed elaborano teorie sul dogma ad esempio
della Trinità, sulla natura divina e umana di Gesù Cristo, sul peccato
originale in realtà le “rappresentazioni religiose” che poi
hanno in testa sono molto più semplici di quanto ci immaginiamo. La differenza
tra la teoria e la prassi è grande e occorre essere più concreti
circa le idee religiose che abbiamo in testa. Le idee che abbiamo in testa per
lo più sono quelle naturali: Dio esiste, è un essere che sa ogni
cosa e che tuttavia ascolta le nostre preghiere; abbiamo bisogno di lui: lo invochiamo
nelle necessità. Ci appare come un Padre che ci sta accanto e Egli che
ha creato il mondo ci sta accanto come un Padre benevolo e ci aiuta nei pericoli.
I cognitivisti ritengono che i teologi sono degli “specialisti” delle
idee religiose, ma che tali idee sono “costruite” ma non hanno grande
forza. I teologi sono come gli astronomi che fantasticano sulle galassie e sui
corpi celesti, ma poi tacitamente trattano, ad esempio, il sole in modo comune
come se si movesse intorno alla terra. Allo stesso modo i teologi sanno che Dio
conosce ogni realtà e conosce il pensiero prima ancora che sia pensato,
ma questo fatto non li esime dal pregare e dal ritenere che Dio “ascolta”
le nostre preghiere.
Ora queste idee che stanno a fondamento di tutte le credenze non sono “teologiche”,
ma hanno un impianto più profondo: hanno una base “biologica”
o “fisiologica” legata al funzionamento dei nostri organi e in particolare
del cervello.
Se non avessimo queste idee religiose “naturali” in testa saremmo
“autistici” e incapaci di avere una “teoria della mente”.
2. “Dio è un’esperienza” a livello cognitivo.
L’esperienza religiosa ha una prima ampia presenza a livello cognitivo come
processo di “antropomorfizzazione”. Immaginiamo Dio come un grande
uomo che agisce nel mondo ed è causa di tutto ciò che avviene. Ci
immaginiamo quasi “automaticamente” che Egli ha cura del mondo. Questa
è un’idea forte, ineludibile. Noi attribuiamo una causalità
(Agency) inconsciamente o anche consapevolmente a ogni evento del mondo. Noi non
siamo in grado di pensare al mondo come frutto del caso - come voleva l fisico
J. Monod. Abbiamo i lobi frontali che ce lo impediscono. Il fatto che noi attribuiamo
agli altri credenze, scopi desideri ecc. dipende dall’attività dei
lobi frontali. Il fatto che siamo portati antropomorficamente - come ribadisce
in particolare Guthrie - ad attribuire costantemente cause intenzionali e personificate
al mondo - infatti la mente “crea significati” (the mind is meaning-maker)
anche dove non ce ne sono - crea forte in noi l’idea dell’Agency,
costituisce una vera introduzione e un tentativo di spiegazione dell’esperienza
religiosa. Dunque si ha a che fare con qualcosa che lascia il segno. Infatti questa
modalità appare essenziale in ogni vissuto religioso.
E già a questo livello la documentazione è notevole e incontrovertibile
e parla in favore di un antepredicativo dell’esperienza religiosa. (Dio
è un’esperienza è qualcosa di spontaneo e di innato). Si può
osservare che l’esperienza religiosa nasce dalla capacità di “dare
ordine” al mondo, dalla capacità di capire le intenzioni degli altri.
E questo è un fenomeno potente e generale della nostra neo-corteccia. Noi
abbiamo una strana capacità di capire le intenzioni, le strategie, il non
detto degli altri. Siamo in grado di leggere nella mente degli altri. Questo meccanismo
è originario ed esprime il concetto che i cognitivisti chiamano la “teoria
della mente”. Secondo tale idea ogni mente è portata a trovare intenzionalità
ovunque nel mondo, possiamo vedere processi cognitivi di induzione dell’esperienza
religiosa che non si riducono immediatamente ai relativi significati storici e
culturali. Possiamo in altre parole parlare di un processo cognitivo precedente
e più originario rispetto al processo storico-culturale a cui poi inevitabilmente
si congiunge. La credenza nelle realtà controintuitive - che sono quelle
che chiamiamo religiose - non può essere spiegata funzionalmente. Si tratta
infatti di un particolare modo di comportarsi del nostro cervello recente (neo-corteccia)
secondo cui i nostri lobi frontali hanno un’abilità strana: quella
di trovare sempre scopi intenzionali. La neo-corteccia trova una causa e un ordine
in tutti i fenomeni: il cervello umano crea una continua rete di significati.
In questo modo i cognitivisti e i neuroscienziati sono propensi ad ammettere una
“conoscenza intuitiva” che si sviluppa a partire dalla neo-corteccia,
la quale non è acquisita attraverso un insegnamento specifico, ma che nasce
piuttosto da una competenza ereditata “geneticamente”, come hanno
dimostrato in particolare Atran e Mithen. Ora un simile processo potrebbe essere
considerato quel processo che sta all’origine del nascere dell’esperienza
a livello cognitivo. Ci si avvicina così all’idea che “Dio
è un’esperienza”. Nel suo aspetto più religioso, questa
tesi potrebbe configurarsi come qualcosa di simile all’apriori religioso
di R. OTTO oppure anche come la “filosofia perenne” di cui parlava
A. HUXLEY. Sarebbero le idee religiose che sono comuni a tutti gli uomini e che
rispecchiano la tradizione più antica. Io penso che ci siano molti buoni
motivi per crederlo.
I lobi cerebrali frontali e prefrontali hanno funzioni cognitive esecutive, di
progettazione, di orientare il comportamento permettendoci l’interazione
con il mondo/ambiente. Questi lobi - secondo i neurofisiologi - sono andati via
via crescendo di forma e di complessità connettiva attraverso lo sviluppo
filogenetico e ontogenetico e ora sono deputati globalmente sia alle funzioni
sociali e comunicative e sia al carattere quasi innato dell’esperienza cosiddetta
‘religiosa’, almeno in quanto esperienza dell’Agency. Dunque
tutto nasce intorno a quest’idea di Agency, che non va confusa con una pura
causalità fisico- strumentale (qualcosa come il martello che infrange il
vetro di una finestra), ma con una vera intenzionalità umana, come un’idea
primordiale che acquisiscono già i bambini di 6-8 mesi e che di recente
è stata messo a fuoco, in particolare, da alcuni grandi studiosi, come
Leslie, Baron-Cohen e Premack, i quali hanno fatto vari esperimenti sui bambini.
Tale idea, che si potrebbe dire ‘innata’, viene identificata da molti
neurobiologi come una movenza fondamentale legata alla nostra stessa possibilità
di comunicare: sarebbe legata al “meccanismo della teoria della mente”
e si esprimerebbe in una tendenza congenita che porta a scoprire dappertutto delle
intenzionalità (il cosiddetto ‘intentionality detector’). Quando
noi diciamo che esiste Dio e ci rivolgiamo a lui in preghiera noi attribuiamo
la proprietà di possedere una mente. In questo quadro, noi siamo portati
quasi geneticamente ad attribuire una causalità a tutto e rispetto a ogni
possibile evento. “The mind - osserva Gazzaniga - is a hyperactive meaning-maker”
e anche in mancanza di evidenze, la mente/cervello è pronta a postulare
una causalità intenzionale (agency) mettendo insieme fatti indipendenti.
Facendo fronte all’ambiguità del mondo, noi - osserva a sua volta
Guthrie - siamo portati istintivamente a creare i disegni più significativi
possibili. “Dio è presente nei nostri geni”.
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