L’idea di fondo espressa nei propositi del Convegno “Liturgia e immagine” ipotizza uno stretto legame tra sensibilità e fede, in modo specifico tra vista e credenza. Ogni nostra conoscenza anche la più spirituale deve essere in qualche modo filtrata attraverso la percezione sensibile. Corpo e mente non sono entità separate, ma sono in una reciproca interazione. Come si incarna la fede nella pratica e come si fa visibile nelle varie epoche storiche?”. Il cristianesimo sarebbe riuscito vincente dallo “scontro fra dei” per essere riuscito a produrre una “propaganda” migliore attraverso l’innovazione dei linguaggi iconici È indubbiamente un fatto degno di considerazione che attorno al tema dell’immagine vi sia stata la prima rottura all’interno della chiesa con la crisi iconoclasta. Dopo secoli di sostanziale sospetto reciproco pare giusto riprendere la questione da un punto di vista meno intransigente e più legato alla prassi liturgica per una migliore partecipazione del Popolo di Dio. Quanto l’immagine nel rito è produttiva di presenza? Si potrebbe avanzare l’ipotesi di una religione del vedere, in cui l’immagine quasi da sola adempie alla funzione simbolica di contatto tra Dio e il fedele? Ci può essere rito senza immagine? Come devono essere le immagini per il rito in modo da accompagnarsi armonicamente con gli altri codici simbolici della celebrazione liturgica? Può l’arte moderna entrare nella liturgia? Qual è la pertinenza di un abito liturgico? È tollerabile la presenza del fotografo in una liturgia? Un plesso di problemi ad ampio spettro, che riserva sorprese e che chiede una rivisitazione teologica per una migliore comprensione dell’atto liturgico. |