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Matrimonio e Famiglia

DEDICARE LA VITA: IL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA  

Le stesse passioni nell’uomo e nella donna hanno un ‘tempo diverso’:
perciò uomo e donna non cessano di fraintendersi.
(F.Nietzsche, Al di là del bene e del male, n.85) 

Prima Adamo fu creato dalla polvere della terra ed Eva poi fu creata da Adamo.
Quindi l’espressione “a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza”
deve significare che l’uomo non può venire al mondo senza la donna, né la donna senza l’uomo
(Talmud)

Il punto di vista adottato per una rilettura del matrimonio sarà di tipo sacramentale-simbolico, dove la significazione seconda del simbolismo sacramentale introduce in un nuovo gioco linguistico, in un’esperienza specificamente religiosa del matrimonio, pur mantenendo inalterata la significazione prima del segno creaturale-culturale della coppia. L’intreccio tra  i due livelli sarà particolarmente delicato perché non si limita alla già complicata struttura teandrica della sacramentaria (SC n.2), ma aggiunge una particolare tensione tra l’antropologico e il religioso. La storia delle religioni infatti documenta che la tensione sessuata della coppia arriva prima a umanizzare il divino che a divinizzare l’umano[1]. La difficoltà è ben presente anche nella tradizione cristiana dove non è stato facile equilibrare i rapporti tra creazione e Grazia finendo per fagocitare uno dei due poli: o si rischia la sacralizzazione identificando il matrimonio delle origini col matrimonio della nuova Alleanza, o si avvilisce il proprio cristologico religioso dello sposarsi nel Signore identificandolo col modello culturale prevalente[2].

Per evitare queste derive svolgeremo un ampio confronto fra i molteplici “stili ermeneutici”, che leggono la coppia e il matrimonio nei loro molteplici versanti antropologico-culturali, tenteremo di identificare la struttura portante di queste letture plurime nella dinamica di identità e differenza. E’ la prospettiva che legge la famiglia come “relazione di gender”, come “relazione sessuata”, dove il termine inglese gender non significa solo sex, ovvero la differenziazione sessuale di maschio e femmina, piuttosto le credenze, le percezioni, le preferenze, i comportamenti, le strategie della coppia in relazione. Il disagio della famiglia pare essere un problema  relazionale con contorni inediti rispetto al passato e di difficile interpretazione. La scommessa moderna sulla coppia sembrava il raggiungimento di una maggiore uguaglianza fra i sessi per il conseguimento dell’armonia. Invece stiamo assistendo nella società post-moderna ad una “uguaglianza relazionale”, dove le parità giuridico-morale di uomo e donna lasciano spazio ad una insopprimibile diseguaglianza, che crea tensioni talvolta esplosive e che però fa balenare la suggestine di una nuova sensibilità antropologica dove la differenza fonda l’identità[3]. Percorreremo questa linea interpretativa nelle varie stratificazioni biologico-culturale fino al livello religioso. Il particolare contesto rituale-liturgico del sacramento ci permetterà questo salto in un diverso gioco linguistico, ovvero nello specifico religioso cristiano del matrimonio, che dissemina una nuova significazione rispetto al modello creaturale, senza tuttavia eliminarlo. La tentazione nella teologia e nella pastorale del sacramento del matrimonio è di baipassare, in nome della novità della nuova Alleanza, il livello creaturale, biologico-evolutivo, naturale-adattativo-culturale con il grave inconveniente di confondere lo specifico cristiano con il necessario e autonomo storico-culturale. L’adagio teologico Gratia non destruit sed perficit naturam nel quadro della simbolizzazione significa che l’accesso al significato religioso è possibile rispettando il significato creaturale, segnico. Percorrere la dimensione adattativo-culturale senza sottovalutarla o denigrarla comporta per la teologia il cammino lungo dentro i meccanismi bio-genetici, culturali e psicologici per scavare il livello proprio della mediazione cristica. Per quanto concerne il matrimonio è palese l’imbarazzo della coscienza etica rispetto ai  procedimenti subdoli di adescamento e di mantenimento del partner, dove non si può imporre una moralizzazione preventiva; occorre lasciar sussistere questa “natura” nella sua autonomia creaturale, portarla a consapevolezza fino a farne esplodere le potenzialità di simbolizzazione per accedere ad altri livelli d’esperienza come quella religiosa. La preoccupazione morale di fronte ad una natura “troppo imperfetta”, quasi cinica, può scatenare la tentazione di negarla per battezzarla in ordine ad un più accettabile modello di interrelazione. L’errore metodologico è di leggere moralmente questo piano etologico-culturale rappresentante il nostro DNA adattivo. Non v’è nulla di assolutamente deterministico e di immutabile in questo codice genetico, sappiamo infatti quanta parte abbiano i fattori ambientali e sociali, tuttavia sarebbe illusorio neutralizzarlo con strategie morali di immunizzazione o con sovrapposizioni allucinatorie che fanno della sessualità il segno di tutto quanto essa non è. Le teorie e gli atteggiamenti vengono sempre dopo e sono efficaci solo a condizione di rispettare e comprendere i mattoni della sedimentazione biologico-evolutiva. Su questo sostrato le culture e le religioni hanno prodotto molte simbolizzazioni capaci di reivestire la natura in modelli di senso più profondi, senza fagocitare quella base necessaria e insostituibile.

   La teologia del matrimonio e della famiglia non può permettersi di rimandare al significato religioso senza assumere la carnalità del Verbo. In Cristologia non si può sottovalutare l’umanità di Gesù senza compromettere la sua valenza messianica. Percorreremo dunque la via lunga delle scienze umane per ricuperare la dimensione segnica della coppia e poi di lì risalire all’ermenutica dei modelli religiosi biblico-cristiani del matrimonio. La metodologia sarà rigorosamente teologico-pastorale in quanto interverrà sulla specifica esperienza cristiana, accettando come suo statuto interno la fenomenologia per la possibilità di un confronto multiplo fra le diverse discipline indaganti il matrimonio. Scarteremo gli olismi epistemologici e tenteremo di raccogliere indizi che piegano verso un momento gestaltico, dove il gioco di identità e differenza della coppia potrà sopportare la simbolizzazione del rapporto sacramentale Cristo-Chiesa. Solo allora l’ermeneutica teologica dei modelli tradizionali cristiani potrà intervenire e sortire ad una specie di arbitrato che aiuti a capire le potenzialità e le difficoltà attuali del sacramento del matrimonio e che proponga una qualche possibilità nuova per la riflessione teologica e per la pastorale.

 

1. Fenomenologia della coppia: psycho-biologica

 

   Il richiamo di Gesù al matrimonio delle origine quale paradigma di riferimento per la nuova Alleanza pone il preciso compito di conoscere e valorizzare la coppia “naturale”. Il metodo fenomenologico garantisce la totale fedeltà al modo in cui si mostra il matrimonio nelle sue dinamiche complesse biologico-evolutive, psicologiche, sociologico-adattative, culturali. Per assolvere questo impegnativo compito si serve di discipline specifiche evitando l’eventuale pericolo di una lettura olistica dei vari approcci e tentando di accedere ad un momento eidetico che permetta di identificare l’essenza del matrimonio nei vari modelli culturali. La strada che privilegiamo non documenta la tipologia di matrimonio e di famiglia nel mondo[4], tenta piuttosto di evidenziare i meccanismi biologici, evolutivi, psicologici e adattativi della formazione e della stabilità della coppia perché sono essi a gettare luce e ad integrare processi che, visti da un punto di vista morale, sembrerebbero inammissibili e vergognosi. Questo approccio biologico-evoluzionistico, liberato dalla sua componente deterministica,  si dimostra assai promettente e lucido nel leggere le dinamiche della coppia, soprattutto riserva delle sorprese nel demitizzare la favola bella della ricerca dell’anima gemella e nel verificare un certo cinismo e una rete di inganni che entrambi i partners ordiscono a spese dell’altro per raggiungere i propri scopi.  Ne risulta un quadro complicato di mosse e contro mosse, dove la malizia, prima di avere una condanna morale, deve essere capita in funzione degli obiettivi adattativi che hanno permesso all’uomo di sopravvivere e di svilupparsi. Il dato anomalo è che, pur ammettendo l’importanza dei contesti, le strategie di coppia dei giovani universitari degli USA sono del tutto analoghe  a quelle di altre culture e di altri tempi.

   David M.Buss, uno dei maggiori psicologi americani docente all’Università del Michigan e direttore dell’International Consortium of Personality and Social Psychologists, ha prodotto una serie di studi che hanno animato la discussione per la novità del suo approccio psico-evoluzionista e per i risultati ottenuti circa i comportamenti della coppia. Egli sostiene che “nei rapporti di coppia il conflitto è la norma e non  l’eccezione”[5]. In genere si spiegano i fallimenti coniugali colpevolizzando i partners, dando per scontato che è naturale fra uomo e donna completarsi e andare d’accordo, mentre è necessaria una riflessione meno stereotipata nei confronti di “qualcosa che non comprendiamo fino in fondo”. I luoghi comuni sul tema hanno un costo molto alto sul piano scientifico perché risultano inspiegabili tanti fenomeni legati alla formazione e al fallimento della coppia. Basterebbe un po’ più di umiltà e di coraggio per penetrare le logiche funzional-adattative della coppia e non rimanerne vittima.

Il matrimonio è un rapporto di coppia dominato da strategie complesse, adattative e non sempre piacevoli circa la scelta del partner, l’attrazione, la conservazione, l’eventuale sostituzione. Le strategie spesso sfociano in conflitti per la diversità degli obiettivi dei partners. L’interferenza strategica più comune riguarda l’uso della sessualità: gli uomini non possono appagare i loro desideri di relazioni a breve termine senza interferire simultaneamente con gli obiettivi a lungo termine delle donne. Il matrimonio appare una soluzione accettabile per entrambi, ma non mette fine ai conflitti. Le spose si lamentano che i loro mariti sono accondiscendenti, repressi emotivamente e inaffidabili, gli sposi si lamentano che le loro mogli sono capricciose, dipendenti e sessualmente inibite. La coscienza delle diverse strategie può disinnescare i conflitti, che altrimenti sono fatali per la coppia.

   Cosa vogliono le donne? Le donne vogliono uomini ricchi, potenti, poco più vecchi di loro, in carriera, affidabili e stabili, intelligenti, compatibili nel carattere e negli interessi, atletici e in salute, soprattutto innamorati, cioè gentili e sinceri. Una dozzina di preferenze particolari, ognuna delle quali corrisponde a una risorsa che serve alla soluzione di problemi adattativi, oggi come in passato. Le donne privilegiano nel partner le risorse economiche o le qualità che segnalano il probabile possesso o la futura acquisizione di beni. La spiegazione evolutiva risiede nell’enorme investimento energetico che le donne rischiano in ogni rapporto sessuale per l’eventuale maternità. Presente e futuro vengono impegnati e compromessi per cui le donne non possono permettersi un uomo occasionale. “Le donne si scontrano con il problema dell’impegno perché gli uomini con un alto potenziale di risorse discriminano a loro volta e propendono a  volte per rapporti sessuali occasionali. Nella ricerca di amore e di sincerità si presentano le due soluzioni al problema dell’impegno: la sincerità segnala che l’uomo è capace di impegnarsi, le dimostrazioni d’amore segnalano che si è di fatto impegnato con una particolare donna”[6] L’attuale controllo delle nascite ha in parte modificato i costi e in effetti si è ampliata anche per le donne la ricerca di incontri occasionali.

   Cosa vogliono gli uomini? La vicenda evolutiva dell’uomo ha favorito una sessualità occasionale limitata nel tempo senza un eccessivo investimento di risorse dal momento che è in grado di produrre una gran quantità di spermatozoi rispetto alla limitata risorsa di ovuli delle donne. Secondo gli psicologi evoluzionisti la ragione per cui gli uomini si sposano resta un mistero, dal momento che per riprodursi basta il sesso occasionale. Evidentemente ci sono altre ragioni, sebbene non sfuggano i vantaggi adattativi del matrimonio come i costi insostenibili nella ricerca di una partner non fissa, oppure l’indebolimento della sopravvivenza dei figli esposti, o la più alta qualità di attrazione in uno stato duraturo.

   Quali le caratteristiche ricercate dall’uomo per un rapporto stabile? I progenitori svilupparono meccanismi per percepire gli indicatori del valore riproduttivo nascosto delle donne quali la giovinezza, la bellezza e la prestanza fisica. Non sono interessati tanto al benessere o allo status sociale, ma sono attratti dall’avvenenza fisica. Una volta raggiunto l’obiettivo matrimoniale si tratta di garantirsi la paternità. L’insicurezza della paternità per l’incontrollabilità esterna dell’ovulazione femminile ha portato gli uomini a preferire due caratteristiche: la castità pre-matrimoniale e la fedeltà sessuale post-matrimoniale. “L’infedeltà risulta essere per gli uomini una fonte di turbamento maggiore di qualunque altro dolore che una moglie possa infliggere al suo compagno. Anche le donne sono estremamente turbate da un compagno infedele, ma diversi altri fattori, come l’aggressività sessuale, procurano alle donne una sofferenza maggiore dell’infedeltà”[7]. Anche gli uomini moderni danno massima importanza alla fedeltà, per cui la condotta sessuale futura di una donna dà molte preoccupazioni al giovane orientato al matrimonio. Nonostante questo cruccio nei confronti delle mogli, i maschi non sono altrettanto intransigenti nei loro comportamenti. In tutte le culture vige l’effetto Coolidge, cioè la promiscuità. In occidente la frequenza dei rapporti sessuali con la propria partner declina regolarmente col prolungarsi della relazione, dimezzandosi dopo un anno di matrimonio. Il famoso rapporto Kinsey segnala che il 50% dei maschi e il 26% delle donne ha relazioni extraconiugali; il rapporto Hite suggerisce cifre maggiori attorno al 75%.

Lo scenario che emerge da questa rapida presentazione è inquietante, costringe ad ammettere che gli attori di una delle esperienze fondamentali della vita siano incapaci di controllare i loro intendimenti. Di solito si taglia corto e si eccede in superficiali giudizi di condanna, come se i travagli di coppia fossero solo una concessione al costume edonista della società dei consumi. In effetti i problemi sono più complessi, resi virulenti da una struttura familiare meno rigida socialmente e da un contratto saldato da ragioni affetive. Sottovalutare i meccanismi evolutivi, che nel corso di milioni di anni hanno condizionato anche la psiche e il costume, significa chiudere gli occhi sulla realtà col rischi di rimanerne travolti. A tutti è nota la fragilità del rapporto di coppia, tutti se ne rammaricano, pochi tentano di capire e di educare alla relazione uomo-donna, che si regge su molti presupposti subdoli. “Gli uomini ingannano le donne fingendo un interesse per un rapporto serio per ottenere una rapida contropartita sessuale. Essi si fingono anche dotati di sicurezza di sé, prestigio, gentilezza e disponibilità di risorse per raggiungere l’obiettivo di un breve incontro sessuale. Le donne che cadono nella trappola cedono un beneficio sessuale prezioso a un prezzo d’occasione. Ma le donne contrattaccano puntando ad ottenere segnali di impegno più forti e fingendo di essere interessate al sesso occasionale, in realtà come mezzo per nascondere le loro intenzioni di lungo periodo. Alcuni uomini abboccano e rischiano di trovarsi intrappolati in una rete di costi nascosti... Gli uomini e le donne sono entrambi attenti alle possibilità di inganno in mano all’altro sesso”[8].

   La scoperta fenomenologica della natura ingannevole della relazione per paura dei vantaggi dell’altro non ha nulla di deterministico perché l’uomo è in grado di tenerla sotto controllo e di piegarla a progetti più trasparenti e impegnativi; non va però dimenticata o sottovalutata se si vogliono evitare le sorprese. Probabilmente va trovato l’assetto equilibrato di una tale strategia etologica senza lasciarsi prendere da frettolosi giudizi morali. Bisogna abbandonare quell’irenismo “buonista” per cui la garanzia di stabilità della coppia sarebbe garantita dalla naturale complementarietà dei sessi e dalla ricerca di compatibilità funzionali. Il temuto “inganno” è il segnale, già a livello adattativo, dell’irriducibilità della dualità a fusione mistica nell’uno. Per quanto attiene l’ambito teologico sarà indispensabile far tesoro di questi primi indizi e verificarli da altri punti di vista. E’ solo al prezzo di un adeguato patteggiamento con la “natura” che si riesce forse a stabilire il saldo attivo con meccanismi pericolosi e ad identificare specificatamente l’incremento di significato che il sacramento cristiano apporta. Saltare semplicemente questi livelli in nome di una ipotetica armonia d’amore stabilita dall’alto non può che creare problemi aggiuntivi e incrementare la sofferenza della coppia.

 

 

2. La coppia tra sentimento di fusione ed esperienza dell’altro: psychologica

 

Se il matrimonio è quasi un felice inganno perpetrato dalla natura per l’incontro tra gli uomini, rimane il compito di imparare a fidarsi reciprocamente e ad accettare l’altro nella sua diversità abbandonando il disegno egotico di funzionalizzarlo per sempre alle proprie strategie adattative. Qui si apre un discrimine in cui il sacramento cristiano potrà aiutare ad accedere ad un altro livello della comunicazione di coppia e a discernere i livelli della filogenesi da quelli della spiritualità. Nell’ottica esclusiva della strategia adattativa e funzionale, l’altro non apparirà mai all’orizzonte dello spirito. Rimarrà l’immagine speculare dell’Io e lo strumento inconsapevole di un disegno subdolo dominato da meccanismi sempre più violenti. L’uomo infatti tende a considerare il partner come una sua proprietà, non come una libertà che gli resiste. In nome del legame coniugale le culture e anche le religioni spesso hanno avallato una logica del dominio e della proprietà piuttosto che una logica della libertà e del dono. Due segnalazioni, una giuridica, l’altra psicologica, che dimostrano le strategie di possesso e non di riconoscimento dell’altro. Nella Carolina del Nord un oculista fu costretto a pagare all’ex-marito di una donna 20.000 dollari per avergliela portata via. Gli uomini tendono a considerare le mogli come un bene mobile da possedere e da controllare. Il meccanismo psicologico più diffuso ed efficace è invece la gelosia. Uomini e donne rivelano identici livelli di gelosia, sebbene con qualche variazione. Le donne temono una possibile diversione dell’investimento delle risorse degli uomini a vantaggio di un’altra donna, mentre gli uomini temono una diversione dei favori sessuali da parte della loro compagna. Le gelosia è un meccanismo di mantenimento del possesso la cui virulenza può sfociare nell’eliminazione fisica del partner o del concorrente. Il danneggiamento dei rivali o del partner arriva talvolta alla denigrazione, alla minaccia e alla violenza, come è testimoniato nel cosiddetto delitto d’onore, che godeva nei sistemi giuridici e morali del passato una qualche accondiscendenza.

   In complesso emerge un quadro dove la vita di coppia è una sottile e spesso violenta menzogna in cui ognuno tenta di affermare i propri bisogni, concedendo all’altro solo quella parvenza di attenzioni che possono indurlo a cedere alle lusinghe. In effetti i conflitti di coppia sono un  dato incontrovertibile denunciato dalle proteste delle mogli che rimproverano ai mariti  di trascurarle, di respingerle e di essere inaffidabili. I mariti d’altronde  lamentano la dipendenza e la possessività delle loro consorti. Il giudizio conclusivo di David Buss è sferzante: “ Gli esseri umani non sono stati progettati dalla selezione naturale per coesistere amabilmente nella perfetta felicità matrimoniale, bensì col fine  della sopravvivenza individuale e della riproduzione genetica; i meccanismi psicologici modellati sulla base di questi spietati criteri sono spesso egoistici”[9]. Questo giudizio non è d’ordine morale, è la constatazione di una realtà psicologica “naturale” né buona né cattiva, soltanto adattativa. Gran parte di queste strategie adattative, che per raggiungere i loro obiettivi non esitano ad ingannare, rimangono sostanzialmente latenti perché sono soverchiate dal sentimento oceanico di fusione.

Nell’innamoramento si verifica questa inganno percettivo in cui entrambi vivono una specie di comunione simbiotica. L’amato è il colore del cielo, la luce degli occhi, il calore del cuore, il respiro di vita. Il mondo e l’Io vengono trasfigurati e diventano inscindibilmente legati al partner. Il sì unificante della “coppia felice” in cui io sono te e tu sei me si basa sui seguenti dogmi:

·    alla prima dichiarazione d’amore, la coppia felice si giura fedeltà fino alla morte;

·    nella coppia felice non c’è posto per un no serio, né come spazio personale dell’altro che ciascun partner sia tenuto a rispettare, né come critica e meno che meno come infedeltà e tradimento;

·    nella coppia felice la sessualità funziona regolarmente ed è soddisfacente per entrambi. I partners si viziano reciprocamente;

·    la coppia felice costituisce il rimedio più efficace contro la solitudine e l’inquietudine generate dalle domande e dai problemi personali;

·    la coppia felice conosce soltanto coppie che a loro volta sono felici;

·    nella coppia felice  l’uomo e la donna si completano armonicamente;

·    la coppia felice ha figli felici. Essa costruisce con i propri figli felici un proprio mondo felice[10].

   La tragedia della “coppia felice” è che porta ad un “matrimonio assistenziale” perché le difficoltà bandite dal rapporto diventano sentimenti negativi fino alla distruttività. Il dogma più nefasto è la complementarietà armonica dei due partners. Essa rende intollerabile la crisi e alimenta la convinzione di aver sbagliato tutto per cui subentra la delusione e il pessimismo per il futuro. Ciononostante questo modello ha alimentato il mito dell’androgino molto presente nella storia delle culture e delle religioni. Oggi sembra riaffermarsi sotto la spinta dell’unisex, cioè della rinuncia agli specifici caratteri di differenza tra il maschile e il femminile.

D’altronde emerge anche un movimento opposto che registra nella struttura di crisi tra i coniugi la dinamica fondamentale della vita di coppia. Il no in amore sarebbe l’imperativo categorico per la creatività e la felicità dei partners. Il matrimonio rappresenterebbe lo spartiacque, che lacera il sogno della comunione armonica e avvia il senso della famiglia in cui l’altro è avvertito come il diverso. Su questo snodo decisivo si consuma la delusione per una felicità mancata oppure la crescita in un territorio inesplorato dell’avventura con l’altro. I fattori scatenanti questa evoluzione del rapporto di coppia sono l’esperienza dell’irriducibilità dell’altro a speculare immagine dell’io e l’eventuale esperienza di maternità e di paternità.

Con il fortunato titolo “Il no in amore” Peter Schellenbaum ha fatto emergere l’impossibilità per una coppia simpatetica di reggere le difficoltà del matrimonio e contemporaneamente ha sottolineato la positività del dire no in amore. “Mettere insieme il ‘No, io non sono con te’ e il ‘Sì, con il tuo essere tu mi riveli cose che anch’io devo realizzare’ costituisce un’arte che deve essere imparata”[11]. Alla lunga nella fusione l’Io va in corto circuito, come nel mito di Narciso. Narciso partito per la caccia al cervo trova invece la ninfa Eco. Fissato sul cervo egli si sente minacciato dall’eros e fugge. Ma l’intenso desiderio di eros non lo abbandona e avendo evitato il Tu reale non gli rimane che il proprio Io riflesso nell’acqua. Così rimane intrappolato nella propria immagine raddoppiata senza scampo e senza futuro perché è innamorato di un volto che scompare come tenta di abbracciare. L’esito inevitabile è il suicidio con un pugnale nel petto. Senza il Tu l’Io è destinato all’autodistruzione.

   Le strutture della diversità biologica, che nel tempo dell’innamoramento e del sentimento cosmico di fusione erano occultate nei meccanismi di inganno, diventano palesi e inevitabili nel matrimonio. Su di esse si innestano le nuove situazioni di crisi che possono portare alla rottura del legame coniugale o al reinvestimento creativo dell’affettività scommettendo sull’altro come diverso. L’eterogeneità smaschera il difetto intrinseco della comunione simbiotica di eguali e attiva un nuovo progetto di felicità e di armonia che corre sul filo arrischiato dell’esposizione all’altro. I meccanismi adattativi, che segnalavano la diversità tra maschio e femmina, dovevano essere mascherati nell’innamoramento perché ognuno voleva funzionalizzare l’altro ai propri scopi.  Ne sortiva un reciproco inganno soffocato dal nodo alla gola provocato dall’incontro con l’anima gemella. La fine dell’incantesimo con la scoperta che non siamo fatti l’uno per l’altro metamorfizza la tensione polare tra le persone come energia buona non distruttiva. Il circolo vizioso narcisistico dell’Io che nel Tu non vede che il rispecchiamento di se stesso si trasmuta in circolo virtuoso della dedizione e resa alla propria distruzione, alla distruzione dell’Io e al suo rigenerarsi nell’immagine riflessa del Tu. Il Tu opera simbolicamente come violazione dell’Io perché possa riappropriarsi delle sue virtualità latenti[12]. Il no in amore è l’accettazione positiva del conflitto coniugale. P.Schellenbaum fa un’affermazione singolare circa le fasi in cui l’amore coniugale si trasforma in odio e ciascuno dei due vorrebbe fare del male all’altro, offenderlo, percuoterlo e forse arriva anche a farlo. Egli dice: “Il significato della distruttività è l’amore. Detto altrimenti: il comportamento distruttivo vuole creare la precondizione emotiva per l’amore e spesso vi riesce”[13]. Il riferimento ovviamente non è a quelle situazioni in cui i partners non hanno più da tempo nulla in comune, si rivolge ai casi in cui è necessario un risveglio per non cadere nella stagnazione di rapporti torpidi, indolenti e apatici. La virulenza dell’attacco riporta al punto zero in cui tutto è perduto oppure tutto può rinnovarsi. L’alterazione psicologica, che rimprovera al partner tutti i rospi ingoiati e arriva a giocare sporco provocandolo nei punti deboli sempre elusi e rispettati, segnala il dolore di perdere l’altro e lancia il messaggio disperato: “Ricominciamo di nuovo”. L’Armonia è figlia di una coppia di opposti: Afrodite, dea dell’amore, Ares, dio della distruzione.

    Il no in amore impedisce che il rapporto sfinisca. Il sì totale porta facilmente al no totale. Il no strategico invece si limita, non carica il rapporto di troppe pretese, non cede alla vertigine dello sconfinamento nel sentimento di unificazione cosmica col Tu. La sensazione di collegamento organico col cosmo, l’esperienza del perdersi nell’infinito dell’Altro è punto decisivo dell’ominizzazione e uno dei vertici della spiritualità. La repentina salita verso il sole può tuttavia sciogliere le nostre ali di cera perché l’esperienza della fusione cosmica non è uno stato permanente ma deve tendere asintoticamente verso un centro irraggiungibile nel mondo. L’illusione di potersi stabilire al centro dell’esperienza mistica va presto in pezzi perché la possibilità di questa esperienza è il gioco rischioso del rapporto con l’altro, in cui si realizza una progressiva ridefinizione dell’Io. Al posto della fusione deve subentrare strategicamente la tensione, accettata positivamente e non subìta a malincuore. L’amore non è un’acquisizione ma un compito, una scommessa, che si realizza con il grado di rischio che accettiamo dell’altro, investendo un’enorme energia senza sicurezze preventive o rivendicazioni di possesso. I coniugi dovrebbero smettere di pensare al partner come un diritto acquisito, un possesso, su cui esercitare una padronanza; dovrebbero immaginare che in qualsiasi momento l’altro potrebbe andarsene perché il vincolo è un gioco di libertà e non una prigione di ricatti reciproci.

   Il  figlio potrebbe essere letto a sua volta come un’ulteriore esplosione della differenza, allorquando la dinamica di coppia tende a collassare su se stessa in una identità senza scarti e autorispecchiante. Il legame simbiotico sarebbe alla fine anche nel matrimonio un egoismo a due perché non ci sarebbe posto per lo sviluppo personale che nasce da una sottomissione attiva al Tu. Esso sarebbe la riproposizione del mito greco di Lamia, la donna che succhiava il sangue dei ragazzi: uccideva i figli altrui perché la dea Era aveva eliminato i suoi. “Da un legame vampirizzante e distruttivo con il partner l’Io autonomo non può derivare alcun ‘figlio’, e cioè nessuna fecondità, nessuna possibilità di sviluppo individuale”[14].

Il figlio accolto è una grazia, ovvero un dono inatteso in quanto arriva come vuole lui e non come lo programmiamo noi. I suoi tratti somatici, il carattere, la sua libertà lo fanno essere subito altro dai genitori, che si trovano gettati in una nuova avventura con la differenza. Il figlio è l’altro dai genitori, che impedisce alla coppia autocentrata di entrare in cortocircuito, come il partner è l’altro per l’Io che impedisce al soggetto di risolversi nella narcissistica contemplazione di se stesso.

 

3. Androgine e l’originario differire della coppia: mythologica

 

La storia comparata attesta con straordinaria precisione l’oscillazione tra i paradigmi  dell’androgine e della coppia. L’androgine come coincidenza degli opposti, che non lascia spazio all’alterità o alla dualità complementare, non è l’ermafrodito dove c’è confusione tra maschile e femminile. L’androgine è la proiezione mitica del tentativo di ricondurre la diversità ad unità, di accedere al principio indiviso, all’integrità ontologica che riconduce la dispersione e i frammenti al centro[15]. I Veda presentano l’uovo cosmico originale; il Parsismo riconduce tutto a Zervan con una bisessualità figurata nel tempo e nello spazio. In Grecia la terra Gaia genera per partenogenesi il cielo stellato; così in Egitto Amon-Ra genera spontaneamente Geb (la terra maschile) e Nut (la volta celeste femminile). Le prime forme di bisessualità sono rappresentate in India da Shiva e Shakti, che non si accoppiano ma sono parti di uno stesso corpo androgine (ardhanarisvara). Il braccio destro porta un cobra simbolo dell’organo maschile e la mano sinistra regge un fior di loto, simbolo dell’organo sessuale femminile. In Grecia Dioniso è nel frammento 61 di Eschilo a volte uomo e a volte donna.

L’androginìa divina non è che l’archetipo dell’androginia umana come appare nel Simposio di Platone, in alcuni Midrahsim ebraici e nel cristianesimo gnostico degli Stromata di Clemente Alessandrino[16]. Due le connotazioni dell’androgine: primo, l’origine è l’uno senza dualità; secondo, il superamento della concupiscenza sessuale. Ovviamente in questo modello la differenza fa problema, è segno di degrado e la promiscuità sessuale è colpevole di imbastardire il principio di unità. Essa è all’origine di qui tutti i mali dalla Babele delle lingue, alla violenza di Caino per il conflitto d’interessi con Abele.

Nelle religioni tuttavia è attestato anche il principio della dualità. L’androgine si scinde fin dall’origine e dà luogo alla coppia: Apsu e Tiamat in Mesopotamia, Yin e Yang nell’oriente taoista. Dualità non dualismo, complementarietà non opposizione. Le ierogamie cosmiche sono all’origine delle prime sacralizzazioni del matrimonio umano, oramai però la divisione è consumata e la dualità entra nel pensiero come originaria. L’Antico Testamento ha prodotto una serie di riflessioni assai significative, dove c’è un’oscillazione tra tentazione sacralizzante ed affermazione della bontà creaturale della coppia irriducibile alla mera identità dell’androgine. Soprattutto in Genesi si è sviluppato un pensiero complesso sull’originario differire dell’uomo e della donna e sul suo significato simbolico in rapporto a Dio, pur evitando la sacralizzazione del matrimonio.

La portata paradigmatica della teologia di Genesi sul matrimonio è avallata dallo stesso Gesù, che, interrogato sull’argomento, ha rinviato al disegno di Dio al momento della Creazione. Nella polemica rabbinica di Mc 10,8 Gesù sincronizza in un unico versetto le due prospettive presenti fin dai primi capitoli di Genesi. Si dovrà dunque prestare particolare attenzione alle tradizioni Jahwista (J) e Sacerdotale (P) nella suggestione redazionale del Deuteronomista (Dtr). Il testo P di Gen 1,26-28 recita:

"E Dio disse: 'Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra'. Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: 'Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra".

Tre sono i temi di fondo del testo: l’uomo immagine di Dio, l’uomo è maschio e femmina, l’uomo ha l’autonomia della procreazione e il potere sul creato. La contemporanea creazione dell’uomo e della donna rende entrambi  immagine di Dio nella differenza. Non vi è dunque una precedenza del maschio come immagine della donna. La coppia come icona di Dio non appoggia tuttavia il mito dell’androgine, come invece appare nella letteratura rabbinica, perché maschio e femmina sono strutturalmente differenti e non due metà temporaneamente separate. Non sono due mezze mele ricomposte nell’unità dell’intero della coppia, sono un’immagine di Dio in tensione sia verso il Creatore sia verso se stessi. L’autonomia di procreare nel quadro del potere sul creato rende inoltre laico il matrimonio originario, che non sortisce a nessuna ierogamia. Il redattore di Genesi, quasi non soddisfatto della fonte P, replica usando una fonte più antica, che solo apparentemente sembra contraddire la logica precedente. Il testo Jahwista della seconda tradizione (Gen 2,18-24) è questo:

"Poi il Signore Dio disse: 'Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile'. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: 'Questa volta essa è carne della mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna".

La tensione di questo testo rispetto al Sacerdotale sembra in polemica col paradigma di identità e differenza nella coppia perché la creazione di Eva è successiva e Adamo la domina dandole il nome. In realtà la versione Jahwista corrobora la tesi dell’originario differire perché Adamo è solo e non esiste senza Eva. Questo secondo livello di somiglianza è fondato anch’esso sulla differenza originaria, perché l’uomo nella sua identità speculare con se stesso è solo e ciò non è bene, contraddice la bontà della creazione. La coppia è rimedio all'imperfezione dell'uomo, alla sua solitudine. Quest'ultima è una sofferenza profonda, una paura archetipale di essere orfano, abbandonato a se stesso. In un primo tempo Dio accompagna l'uomo plasmando gli esseri viventi: ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo. Ma l'uomo non trovò un aiuto che fosse simile a lui, cioè si scopre solo. La possibilità di dare un nome alle bestie esaltava il suo potere, ma non lo aiutava a vivere. Allora il Signore lo fece cadere in un sonno profondo, gli estrasse una costola e creò una donna. Solo allora l'uomo si sente in compagnia. Dal racconto si potrebbe avere l'impressione che Dio vada a tentativi per rimediare alla solitudine dell'uomo finché non trova la formula giusta. In effetti l'uomo creato con la polvere del suolo (Gen 2,7), cioè dotato di corpo, era già strutturalmente in tensione con l'alterità del creato, ma non riusciva a schiodarsi dal suo io, dalla sua solitudine; il nominare le bestie era solo la proiezione speculare della sua identità senza riceverne aiuto. La creazione della donna era invece il prolungamento della sua corporeità esposta senza esitazioni sulla differenza. L'alterità di 'ishsha non è posta dall'uomo: viene da lui ma senza la sua collaborazione perché plasmata da Dio mentre dorme. Inoltre è interessante costatare che è l'uomo a riconoscere l'alterità come carne della stessa carne. L'altro non è imposto, ma riconosciuto e amato da Adamo come se stesso. Se la ragione del matrimonio è il rimedio alla solitudine,  alla chiusura sull'identità, la realizzazione della coppia si gioca nella dinamica tra identità e differenza. L'identità consiste nel rinvenimento speculare dell'uomo nella donna. Essa proviene dal fianco dell'uomo, è carne della sua carne, osso delle sue ossa. Si chiama donna ('ishsha) proprio perché è stata tolta dall'uomo ('ish). La specularità non si risolve però nella mera identità, sta di fronte all'uomo come differenza; la donna è come la distanziazione dell'uomo da se stesso, che lo schioda dalla sua solitudine e dalla tentazione egotica.   In questo gioco di identità e differenza viene superato il narcisismo catottrico  dell'uomo rispecchiato nelle creature, che dà potere ma elide la distanza. Nella donna invece ritrova se stesso espropriato dalla propria identità solipsistica. Il gioco dei due, che sono una sola carne e la identità è violata dalla differenza dell’altro, comincia con una violazione simbolica straordinaria, ovvero con il distacco dai genitori, che rappresentano il modello dell’unificazione attraverso il cordone ombelicale.

I due racconti di Genesi, così distanti nel tempo, finiscono per rafforzare la tesi della somiglianza nella differenza. Il redattore avrebbe prima enunciato la prospettiva con una specie di sommario preso dalla fonte P, avrebbe in seguito approfondito il discorso con un ampliamento narrativo, tratto dalla fonte J. Uomo-donna sono a somiglianza di Dio nel senso che non coincidono con esso ma si rapportano al modo della differenza. Il seguito del racconto del Genesi scava ulteriormente in questo mistero della somiglianza: il peccato di Adamo ed Eva è il cedimento alla tentazione del serpente di elidere la differenza. La coppia uomo e donna riproduce a livello antropologico la dinamica religiosa di identità e differenza. In questo senso vi sono già le coordinate per il successivo sviluppo fino alla sacramentalizzazione del matrimonio nel Nuovo Testamento.

Rimane il fatto che il matrimonio biblico delle origini non è sacralizzato come le ierogamie orientali, conserva una fondamentale dinamica religiosa in quanto nel gioco di identità e differenza della coppia vi è la stessa dinamica del rapporto tra Dio e l’uomo, ma in generale il matrimonio gode dello statuto dell’autonomia di tutta la creazione. Il commento compiaciuto di Adamo: "Questa è carne della mia carne!" non allude, secondo G. von Rad, a nessun significato teologico[17]. Solo in un secondo tempo il matrimonio riveste per gli Ebrei un carattere quasi sacramentale come quando i profeti usano il rapporto di coppia per esprimere la bilateralità dell’Alleanza, oppure usano un matrimonio di prostituzione senza amore per esprimere l’infedeltà d’Israele. Tra alterne vicende teologiche l’evoluzione del matrimonio si è tuttavia spinta fino ad una certa sacralizzazione come nel libro di Tobia, dove il legame coniugale è sottratto al dominio satanico solo in forza della preghiera, pregiudicando la versione positiva del matrimonio creaturale[18].

   Nel Nuovo Testamento questa tensione persiste, sebbene siano chiari due punti fermi: Gesù per il matrimonio rimanda all’origine del mondo (Mc 10,1-12; Mt 5,32; !9, 3-9) e quindi non smentisce la fondamentale autonomia positiva di questa realtà creata; l’autore di Efesini 5,21-33 inserisce il rapporto di coppia nella logica sacramentale di Cristo-Chiesa. In Efesini non si tratta più di una metaforizzazione del rapporto Chiesa-Cristo nei termini di Sposa-Sposo come in 2Cor 11,1-3 o del rapporto corpo-Cristo nell’immagine della coppia originaria come in 1Cor 6,12-20. L’incremento di significato teologico è che “il mistero grande” del matrimonio cristiano è lo stesso del rapporto Cristo-Chiesa. Riprendendo Colossesi 3,18-19 l’autore di Efesini produce una vera novità, tanto che H.Schlier arriva a parlare di “nozze sacre”. Rispetto al matrimonio delle origini, che viene positivamente richiamato, il matrimonio cristiano riproduce l’amore di Cristo per la sua Chiesa. La specifica qualità del matrimonio cristiano è di rendere presente come un sacramento l’amore kenotico di Cristo, che ci ha amato mentre eravamo peccatori. Vi è un surplus d’ordine religioso che si innesta sul matrimonio delle origini. Questa è la riflessione più avanzata del Nuovo Testamento sul matrimonio, che legittima la prassi sacramentale della Chiesa lungo i secoli.

Già nel Vangelo di Matteo tuttavia si può intravvedere questo sviluppo con un intrico ancora tutto da sviluppare. Se  ai testi di Mt 5,32 e 19,3-9, dove si ribadisce l’indissolubilità del vincolo contro la legge di divorzio di Mosé tranne nel caso di porneia, accostiamo Mt 19,10-12 troviamo che il discorso non verte sul contenzioso tra matrimonio e verginità, ma si stabilisce che di fronte al Regno di Dio imminente la realizzazione, che normalmente l’uomo trova nel matrimonio, è ugualmente possibile. Tutto è relativo al Regno e chi può capirlo non si ostina nella realizzazione terrena. Nella disputa coi farisei Gesù ribadisce il piano del Creatore pur ammettendo un’eccezione all’indissolubilità, quando è con i discepoli vi è come un passaggio ad una logica più grande, quella del Regno, che non ammette eccezioni e non è appannaggio di tutti. Vi sarebbe in questa versione matteana lo spazio per configurare una dimensione umana del matrimonio sul modello della Genesi e una dimensione religiosa direttamente legata ad una vocazione riservata ai pochi[19].

Ritorneremo su questi punti perché un nuovo paradigma teologico del sacramento cristiano del matrimonio dovrà destreggiarsi tra l’affermazione dell’autonomia creaturale del coniugio e l’affermazione cristologico-ecclesiale dell’efficacia di Grazia connessa in questa realtà umana.

   Le religioni nella prospettiva del metodo storico-comparato complessivamente oscillano tra la difficoltà di ridurre ad unità la dualità e l’impossibilità di superare tale tensione; tentano di sacralizzare il matrimonio ma devono lasciare ampio spazio ad una sessualità biologica esorbitante e non certo ideale; tentano di funzionalizzare il maschile e il femminile per esempio alla procreazione tuttavia devono arrendersi alla originarietà strutturale della coppia come differenza di maschile femminile

 

 

4. Androgine o ermafrodito o unisex: sociologica

 

   L’ideale moderno si è mosso verso una società dell’androgine (E.Badinter), ma forse sarebbe meglio parlare di ermafrodito e di transessuale[20]. L’attenuazione della differenza maschile/femminile è attestata da alcuni indicatori strutturali: la parificazione scolastica, la tendenza a rimandare l’età del matrimonio, la scarsa propensione ad avere figli, la partecipazione al mercato del lavoro, la ridefinizione della divisione del lavoro e la gestione del potere nella coppia, l’uniformità della moda, del linguaggio, dei canoni di bellezza, dei meccanismi di fascinazione, ecc[21].

J.Baudrillard scava in profondità questa deriva della corporeità simmetrica a valore d'uso caratterizzata dall'ambiguità dell'unisex, dove viene eliminato lo scambio simbolico. Quattro modelli del corpo: il cadavere per la medicina, il carnaio dei sensi per la religione, il robot e il mannequin per il sistema dell'economia politica[22]. Il corpo tende a perdere il valore simbolico e ad assumere valore segnico perché la struttura maschile/femminile non mantiene la differenza, ma fonda un'equivalenza generale del fallo.

Le quattro figure cadono sotto il dominio del codice, che è identità, morte perché non può iscrivere la propria morte per aprirsi all’altro[23]. La metafisica del codice si struttura su opposizioni binarie, modulazioni differenziali, retroazioni, domande e risposte. Il codice ha nella "digitalità il suo principio metafisico e nel DNA il suo profeta"[24]. L'oggettività del codice binario sarebbe lo statuto epistemologico della scienza e del mondo; per questo rivendica un'oggettività e una verità improbabile dato il carattere convenzionale e postulatorio di ogni scienza. Tuttavia la portata del codice binario nella nostra cultura è così veemente, che è difficile identificare un ambito che ne sia immune. Il corpo non è rimasto estraneo a questa economia politica del segno. La tesi di Baudrillard è la seguente: "Tutta la storia attuale del corpo è quella della sua demarcazione, della rete di marchi e di segni che lo suddividono, lo sminuzzano, lo negano nella sua differenza e la sua ambivalenza radicale per organizzarlo in un materiale strutturale di scambiosegno, al pari della sfera degli oggetti, per ridurre la sua virtualità di gioco e di scambio simbolico (che non si confonde con la sessualità) in una sessualità assunta come istanza determinante - istanza fallica interamente organizzata intorno alla feticizzazione del fallo come equivalente generale"[25]. In questo senso il corpo riproduce il modello dell'economia politica che non scambia simbolicamente ma tratta tutto secondo il valore d’uso, istaurando la logica del potere.

In che cosa consiste la riduzione del corpo a feticizzazione fallica? Baudrillard illustra alcune tecniche come l'erettilità di un frammento del corpo barrato da bracciali, collane, anelli, ecc, come la bocca imbellettata, come il corpo nudo, liscio della donna attraverso collant, guaine, calze, guanti, abiti elasticizzati, ecc. La sessualità ha valore d'uso. La stessa liberazione attuale riduce la sessualità a funzione per l'equilibrio fisiologico o mentale, per l'emanazione dell'inconscio, per il piacere. La funzionalizzazione della sessualità riduce la differenza biologica a equivalenza fallica. “Perché la strutturalità si serve della differenza biologica; ma non è affatto per mantenere una vera differenza: è al contrario per fondare una equivalenza generale - il Fallo che diventa il significante assoluto, al quale si vengono a misurare e a ordinare, nel quale si vengono ad astrarre e a equivalere tutte le possibilità erogene. Questo Phallus exchange standard governa tutta la sessualità attuale, ivi compresa la sua rivoluzione”[26].

Tale deriva della corporeità reinventa la figura negativa del mito originario per cui essa è coinvolta nel sospetto dell’uomo contro Dio, risolvendosi infine come morte. Il corpo che si libera è quello che nega le potenzialità simboliche dell’antico corpo rimosso. Il corpo secondario della emancipazione sessuale è posto sotto il solo segno dell’eros con l’exinscrizione della pulsione di morte. L’ambivalenza del corpo è ridotta a bivalenza sessuale ed ad unisex. Questo lato del problema è di grande importanza perché inibisce qualsiasi possibilità di un’esperienza rivelativa del corpo e rende ancora più pertinente una morale della salvazione del corpo.

La lucidità dell’analisi di Baudrillard suscita grande interesse per la denuncia  dell’indifferenziazione almeno socio-politica tra maschi e femmine. E’ tuttavia carente nella considerazione delle nuove disuguaglianze di gender[27]. Esse non consistono nella reduplicazione delle divisioni tradizionali, piuttosto sono attivate dalla necessità dello scarto differenziale tra i sessi indipendentemente dai ruoli tradizionali di genere. La donna può tranquillamente dedicarsi alla professione sociale, mentre l’uomo accudire alle faccende domestiche, l’importante è che si mantenga sempre lo scarto. L’identità di gender risiede nell’intreccio tra soggettività, cultura e ruoli sociali, che si innestano su due funzioni giudicanti peculiari: l’una di tipo “avvolgente” incline a ricomporre tutto nell’affetto, l’altra di tipo “penetrante”. La lunga sfida del femminile sul maschile che ha segnato la storia della sessualità della nostra generazione non può avvenire all'interno dell'opposizione rivendicativa di segni maschile/femminile, perché altrimenti il suo esito sarebbe già superato nel semplice rovesciamento dell'allucinazione, dove il femminile è la realtà che esorcizza nel maschile il suo immaginario. La difficoltà di accogliere la differenza nella stessa femminilità della donna, rilancia il mito biblico dell'aiuto che le sia simile nella figura dell'altro sesso. Adamo è il prolungamento nel corpo di Eva per far esplodere la struttura essenziale di identità e differenza. La donna prima di essere madre deve imparare ad essere moglie[28], se non vuole strumentalizzare la differenza sessuale solo in vista della procreazione di un figlio come semplice proiezione speculare di se stessa.

Che cosa esprime dal punto di vista fenomenologico-sociale il corpo femminile affacciato sul maschile? Qual’è il gioco psico-sociale tra l’”avvolgente” e il “penetrante”? L’”avvolgente-donna” esprime accoglienza, passività, predisposizione alla ricettività. Morfologicamente la donna è un essere interiore, il che non significa fatalmente determinata per ricevere secondo lo schema sociale che definisce il femminile "sesso debole”, ma significa  potenzialmente predisposta a ricevere. Ecco la testimonianza di Nicole Fatio sul suo essere donna: "Il mio corpo è un corpo di donna e la percezione che mi offre della realtà porta questo sigillo... Quattro momenti mi appaiono essenziali. Anzitutto i cicli mestruali che dirigono la mia vita secondo un certo ritmo, con alti e bassi, con momenti in cui domino il mio corpo e altri in cui affiora la mia fragilità. Regolarmente e ostinatamente le mestruazioni mi chiamano all'ordine, impedendo che nei miei progetti mi raffiguri in un modo che non sono. La gravidanza mi ha insegnato che cosa significa aspettare; un'attesa ricca di promesse... Il parto è il momento della mia vita in cui ho sperimentato con intensità la rottura, quella rottura indispensabile perché venga alla luce un essere vivo... Infine l'allattamento mi ha permesso di valutare il prezzo che bisogna pagare perché un essere viva. Un prezzo che si deve pagare con se stessi, con le più profonde delle proprie riserve, un prezzo che non ammette nessuno sconto. Il mio corpo di donna mi ricorda incessantemente i miei limiti; quando nasce una vita nuova mi insegna il valore del tempo, il prezzo elevato che devo pagare con la mia propria persona; mi rivela anche l'alterità di ogni essere umano; anche quello concepito nel mio seno. Questa pedagogia del mio corpo, se la ascolto, mi apre a certe dimensioni della vita... Non tutte le donne hanno potuto avere figli, lo abbiano scelto o meno. Ma sono propensa a credere che conservano in loro l'impronta  di questa attitudine e per tutta la vita[29]".

Dal corpo della donna, sostiene M.T.P.Santiso, non si deduce un destino cieco, una necessarietà, né una passività, bensì unicamente l'esistenza di uno spazio di accoglienza e la possibile apertura dello stesso"[30]. Il corpo della donna fa spazio al corpo dell'uomo ed è in questa struttura d'ospitalità che sta la differenza fondamentale di gender rispetto al maschio, il quale tende al contrario verso l'esteriorità. Il corpo maschile al contrario della donna è estroflesso perché subisce il fascino del femminile che lo cattura. Il maschio è teso all'esteriorità, è forzato a catturare l'altro, a penetrarlo, quasi a violarlo. E' un'esteriorità che rischia la superficialità perché non può concentrarsi sul suo mondo interiore, teso come è a compiacere l'altro, ad accontentarlo, a promettere, ad esibirsi, a dare il senso di forza e di sicurezza, a rappresentarsi in modo diverso da quello che sente per disporre dell'altro. Il maschio è condannato a trovare l'altro fuori di sé, per cui la storia del dominio maschile potrebbe essere scritta come la storia della paura di rimanere solo. La prepotenza maschile è il sintomo di debolezza. Le donne, come abbiamo visto precedentemente, dal punto di vista biologico sono enormemente avvantaggiate nel rapporto perché sono in grado di gestire i sentimenti. I maschi devono far vedere i muscoli per sentirsi alla pari. Hanno usato nell'evoluzione il dominio sociale, l'atto di forza per gareggiare alla pari. La donna sa che può posticipare il piacere, sa che si scarica interiormente e non ha l'ossessione di trovarlo fuori di sé. Può pertanto guidare il gioco fino alla perfidia. La caratteristica saliente della donna come spazio interno di accoglienza e il tratto maschile di spazio esterno di estroversione oggi si stanno con fatica ridefinendo nella società dell’unisex. In Italia tuttavia si assiste negativamente tra i giovani ad uno squilibrio in cui la donna si è creata una nuova identità, non ancora realizzata, ma nel progetto, compiuta. L’uomo al contrario ha perso prerogative e ruolo, non ha ideato nulla di alternativo al vecchio, né la società gli ha offerto - per ora - nuove opportunità: “lo stato è solo di crisi”[31]. La questione del gender, secondo P.Donati, è determinante per la società del XXI secolo, intanto però vi sono gravissime carenze nell’elaborazione teorica e culturale per un nuovo patto tra i sessi dove la differenza sia la condizione dell’identità della persona.

 

 

5. Il corpo fenomeno originario della differenza: philosophica

 

   L’essenza della coppia e del matrimonio, a cui tendenzialmente alludono i molteplici meccanismi biologici e culturali esaminati, è il gioco di identità e differenza. La filosofia, fino a tempi recenti, non si è mai occupato della differenza sessuale come un “oggetto ufficiale“ della sua ricerca. Era ritenuta un’idea bizzarra, eterodossa. “La toilet, l’ornamento e la bellezza, che si traducono nel modo di portare l’abito, nell’inclinazione alla civetteria e nell’importanza della seduzione, vietano alle donne l’accesso alla verità... L’oggetto ‘differenza tra i sessi’ sembra ben lontano da tali rappresentazioni, ed è effettivamente problematico nello spazio della filosofia”[32]. La tradizione filosofica offre due aperture alla riflessione sulla differenza tra i sessi: l’amore e la corporeità. Il filosofema amore attestava la presenza della dualità sessuale ma non se ne occupava se non quando designa la carne. A maggior ragione il tema corpo era trattato nella tensione con lo spirituale suggerendo il rompicapo epistemologico fondamentale dei rapporti soggetto-oggetto.

Solo quando si dissolve il legame tra sangue e sesso, tra riproduzione e sesso con Sade e con Freud, quando si arriva alla emancipazione femminile e alla parità dei sessi succede una svolta nella considerazione della donna e della differenza dei sessi. Nel ventesimo secolo psicanalisi e fenomenologia introducono i temi della sessualità e dell’alterità contro le due resistenze ad un pensiero della differenza sessuale, ovvero la rimozione della sessualità e il dominio maschile[33]. Soprattutto M.Merleau-Ponty riflettendo sulla corporeità e Lévinas lavorando sul femminile destabilizzano la filosofia del soggetto e introducono nel pensiero della differenza. La coppia è un’interiorità estroversa, è la possibilità per l’Io di ampliarsi passando per un Tu che lo estranea dal solipsismo e lo completa. In breve, l’essenza della coppia è il corpo. Nel corpo la coppia si esprime ripoducendo nelle dinamiche coniugali il paradigma dell’esteriorità corporale. In questo paragrafo insisteremo sul corpo per ritrovare la verità della coppia in una prospettiva più marcatamente filosofica.

Non è senza rischi la riflessione sul corpo perché trascina una quantità incontrollabile di precomprensioni mai del tutto  serene. P.Valéry annunciava il somatismo come l'eresia della fine dei tempi e a nessuno sfugge che oggi il corpo è al centro della nostra rivoluzione culturale. Il corpo è diventato un culto, si vuole far parlare il corpo, che esso si liberi, si esprima. Il paradosso è che alla fine esso risulti il significante dispotico atto a risolvere tutti i problemi; mentre colma un vuoto, sostituisce tutto ciò di cui i nostri corpi sono stati privati. Ad una violenza subentra allora un'altra violenza più crudele: quella del cinismo mercantile del valore d'uso contro il valore dello scambio simbolico[34]. Questa deriva infelice non è il necessario esito della rivoluzione del corpo; vi sono molte direzioni in cui si possono prevedere effetti positivi. Il cambiamento in atto non è meccanico, occorre pilotarlo, soprattutto se si considera che il corpo è un “significante fluttuante”. Che cosa significa? Il corpo, secondo la felice intuizione di C.Lévi-Strauss nell'introduzione all'opera di M.Mauss Teoria generale della magia, sarebbe un significante fluttuante[35], ovvero un significante senza significato proprio immediato, come il mana, il wakan, l'orenda. Questi significanti fluttuanti non designerebbero nulla di preciso, avendo un valore simbolico zero; servono solo "al pensiero simbolico di esercitarsi". Il loro significato si trova nello spazio che separa i codici o li congiunge. "Infatti, sebbene questo valore simbolico zero si riduca a 'una semplice forma', quando si carica di un contenuto, questo appartiene sempre a quelle zone di disordine semantico, a cavallo di due o più codici, di due classi di oggetti, di due mondi; insomma, non è un caso se il significante fluttuante si trova sempre a quei confini dell'ordine sociale, che sono occupati da certe istituzioni e pratiche delle società primitive"[36].  Esso denota quelle frange di disordine semantico alle quali corrispondono i riti, la magia, lo sciamanismo, ecc. Appena vi è violazione di un ordine si scatenano energie e spazi nuovi che i riti  liberano e riorganizzano. Il corpo effettua lo scambio di codici, è mediatore di codici; non significa nulla ma parla la lingua degli altri codici che in esso si iscrivono. Per esempio nella trance c'è una duplice rappresentazione: la decodifica di un corpo malato e la rinascita di un corpo sano. La prima porta alla confusione dei codici normali attraverso la danza, l'incantesimo, la musica, le sostanze stupefacenti. Su questa superficie resa vergine nasce un altro corpo metamorfizzato. A Giava i dukun (sciamani) trasformano i pazienti in cinghiali, in scimmie, in castori; ad Haiti in cavallo.

Il significante fluttuante corpo circola tra i codici e innesca i processi simbolici di rigenerazione e di accesso ad altri mondi. Ecco perché il corpo è al centro dell'universo magico e religioso. La stessa tradizione giudeo-cristiana trova un illuminante indizio interpretativo nel significante fluttuante perché  il corpo ha assunto significati opposti rispetto ai diversi codici linguistico-religiosi. Il corpo è passato dal significato di imago dei o di incarnazione del Verbo, a stigma del peccato, a carnaio dei sensi. "L'uomo è lo scandalo della creazione"[37], sentenzia H.Blumenberg, nel senso che è creato ad immagine di Dio condividendone il mistero e contemporaneamente mette in scacco il progetto originario con la sua libertà di mangiare dall'albero proibito e di rovinarsi. Nella tradizione biblica vi sono entrambe le interpretazioni: il corpo creato è ad immagine di Dio, il corpo di Adamo  scatena e trasmette il peccato originale.

Gli stessi campi semantici che hanno fecondato il significante fluttuante corpo nell'Antico Testamento si ritrovano nel Nuovo Testamento. Per Giovanni la carne è il mostrarsi della Gloria del Verbo Unigenito del Padre (Gv 1), ma questo significato positivo non ha ripercussioni in un'antropologia del corpo come simbolo del rapporto con Dio. Si è sviluppata piuttosto un’antropologia disgiuntiva tra vita e morte in cui il corpo è campo di battaglia. Il giudizio universale sarà il momento in cui la logica disgiuntiva avrà il compimento: "quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna (Gv 5,28-29). La logica disgiuntiva che nega lo scambio simbolico tra corpo e Spirito, rivela che nel cristianesimo la vita non è un vantaggio di per sé, se non nell'ordine contabile del valore. U.Galimberti sostiene che si sopprime questo tema della disgiunzione il cristianesimo finirebbe[38]. Per Paolo il corpo rischia continuamente il tracollo se non è abitazione dello Spirito, se non è puro contenitore dello Spirito (Rm 8,11; 1Cor 15,50; 2Cor 5,1; 5,5; 5,8; Fil 1,23; 3,21; Col 2,11).

Il ritardo della parousìa impone al cristianesimo un'eternità differita sostenuta da una "economia politica della salvezza individuale mediante accumulo di opere e di bene con relativo bilancio finale e le sue equivalenze"[39]. Questo processo di accumulazione distrusse in radice lo scambio simbolico e paradossalmente alleò la grande nemica, la morte, alla vita in Cristo perché essa è stata elevata a valore assoluto dal momento che diventa l'equivalente generale della vita, ciò che quotidianamente la percorre. Il corpo non scambia più simbolicamente la vita e la morte, il sacro e il profano, ma viene impigliato nell'eticizzazione della rottura simbolica. La violazione del corpo viene ormai letta negativamente come opposizione allo Spirito, sicché la condizione di possibilità di accedere allo Spirito viene sospettata di occultare lo Spirito. George Bataille è riuscito a cogliere questo corto circuito quando scrive: "Nella religione pagana la trasgressione fondava il sacro, i cui aspetti impuri non erano meno sacri di quelli puri. La sfera sacra era formata dall'unità di puro e di impuro. Il cristianesimo respinse l'impurità; ripudiò la colpevolezza, senza la quale il sacro non è neppure concepibile, giacché solo la violazione del divieto permette di accedere ad esso"[40]. Il Cristianesimo si è come spaventato di fronte agli aspetti pericolosi e immorali della sessualità ed ha creato un argine demonizzando il piacere e il corpo come fonte di peccato. Non si è reso conto che la violazione della norma morale rappresenta il gap simbolico per accedere al mondo religioso; ha continuato a leggerla in termini morali, pregiudicandosi in qualche modo la possibilità della trasgressione simbolica nel Sacro. Il Cristianesimo ha introdotto il matrimonio e il corpo nel mondo del Sacro, ma non ha saputo mantenerlo perché ha prevalso l'interferenza etica svuotata di trascendenza.

Non è possibile documentare in modo conveniente un tema così delicato nella storia della chiesa[41], ci limitiamo a segnalare due variazioni di paradigma sul corpo, che alternano i campi semantici già registrati nella Bibbia. I momenti salienti di questa vicenda potrebbero ridursi a due  protagonisti: S.Agostino e Cusano, che scandiscono anche i due moti di superamento del problema gnostico del male a cui è legato il tema del corpo[42]. Agostino di Ippona, risolve il problema del male con la responsabilità dell'uomo. Tale variazione, rispetto al dualismo gnostico, ha avuto un peso specifico nella considerazione della corporeità e del piacere in quanto è appunto l'appetito dei sensi (concupiscentia) all'origine del peccato. Pur non identificando il piacere con la concupiscenza, tuttavia Agostino concepisce un piacere onesto se è ricercato per un fine buono come nutrirsi, procreare, ecc. Considerato in se stesso per Agostino, come per Platone e Aristotele[43], il piacere carnale rimane sempre "lusinga ed esca del male"[44]. Il piacere o libidine è una malattia, è vergognosa perché è la pena del peccato originale, anzi "dal seme viziato si contrae il peccato originale"[45]. Gravando il male sulla responsabilità dell'uomo non è difficile individuare la debolezza nei sensi quando non sono a servizio della sapienza ma del piacere[46].

Un cambiamento del significante fluttuante corpo è la teoria della curositas di Cusano. Egli reagisce all'inclusione della curiositas nel novero dei vizi. Agostino di Ippona aveva dedicato tutto il capitolo 35 delle Confessioni alla curiositas come concupiscentia oculorum, come puro istinto funzionale dell'organo di senso che trova soddisfazione anche con gli oggetti più vili. L'età moderna è cominciata con Cusano, Copernico, Giordano Bruno, Galilei, i quali reagiscono a tale demonizzazione epistemologica riabilitando la curiositas e connettendola non più all'illusione dei sensi, quanto alla possibilità di avvicinarsi alla verità. Cusano ripersò la curiositas nel quadro della docta ignorantia. L'insaziabilità della curiositas è il correlato dell'inesauribilità divina. Essa non è più sospettata di non voler riconoscere i limiti della natura, rappresenta invece l'apertura della spregiudicatezza in cui si rappresenta la continua trascendenza della verità. La docta ignorantia vieta ogni definitività conoscitiva. "Quanto più (la mente) contempla in modo sottile se stessa nel mondo che esplica di sé, tanto più si feconda fertilmente dentro di sé, poiché il suo fine è la ragione infinita, nella quale, solamente, intuirà se stessa così com'è, e che è, per tutti, l'unica misura razionale"[47].

Il significante fluttuante corpo nell'attuale stagione oscilla tra la positività dello scambio simbolico e la deriva segnica del carnaio dei sensi oppure del sessismo nella variante femminista. Si tratterà di tesaurizzare la riflessione sulla differenza del corpo per impostare una nuova teologia del matrimonio. La difficoltà a pensare la differenza si annida nell’assunzione di uno dei due ad universale. Un piccolo aneddoto per illustrare questo problema:

- Signora maestra, come si forma il femminile?.

- Partendo dal maschile: alla “o” finale si sostituisce semplicemente una “a”.

- Signora maestra, e il maschile come si forma?

- Il maschile non si forma, esiste.

La storia del pensiero si interessa del maschile o del femminile o della finitezza, ma è cieca rispetto alla finitezza della differenza, dell’originario differire tra uomo e donna. Invece la differenza sessuale è la simbolizzazione fondamentale delle culture, dice la soglia iniziatica di interno-esterno, di identità e differenza a tutti i livelli. A livello bio-etologico nella delimitazione del territorio: dentro è la vita, fuori è la morte. A livello socio-culturale nel tracciare i confini del villaggio e della casa: dentro ci sono i parenti e i familiari, fuori ci sono gli stranieri e i nemici. A livello psicologico nella percezione dell’interiorità dell’anima e dell’esteriorità del corpo. A livello religioso la liminalità del rito stabilisce una soglia tra il mondo ordinario e il mondo del Sacro. A livello antropologico essere uomo ed essere donna produce la tensione dell’essere identità nell’attrazione simbiotica di un solo corpo e differenza nel percepire l’intrasgredibilità dell’altro. Luce Irigaray ha scritto che la differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema che la nostra epoca deve pensare[48]. Su questo versante vi è stato un grande impegno di riflessione, ma si ha sempre la sensazione di inconcludenza, di impossibilità di cogliere il nesso intimo della differenza. “la differenza dei sessi è stata pensata solo come contraddizione, e in tal modo ha permesso la riconduzione dell’altro (altra) al Medesimo,non ha lasciato essere la distanza, l’asimmetria; oppure è stata pensata come complementarietà, che presuppone sempre un tutto preesistente, una fusione originaria; ancora tutta da pensare è la dualità insormontabile degli esseri, la radicale asimmetria dei sessi, irriducibili l’uno all’altro nello statuto della loro differenza, in un’alterità che rimanga tale e non venga riportata all’altro dal Medesimo al Medesimo dunque, in definitiva”[49]. Lo stesso E.Lévinas, che ha criticato la filosofia per aver pensato la differenza sessuale solo come opposizione e specularità, non sfugge ad una certa oggettivazione del femminile; lo assume, attraverso delle metafore, solo come tema ed oggetto del discorso, lo riconduce quindi al Medesimo, al discorso dell’Uno[50].

Probabilmente la differenza uomo-donna non è ni-ente, non è un ente, o meglio è il nulla che si crea dallo scarto, esattamente come avviene nella simbolizzazione[51]. Bisogna imparare a vivere il nulla della differenza come condizione del rivelarsi della propria identità di maschio e di femmina. L’accettazione della propria identità e l’armania di coppia non si risolve nel trovare la propria metà o nell’equilibrio delle compatibilità, ma nell’accettare il rischio dell’essere violati dall’altro. Il gioco della coppia è il gioco del soggetto che si espone alla violazione dell’altro. Nella stessa riflessione femminista comincia ad affiorare il tema dell’alterità come “separatezza”, come “estraneità”, costringendo l’Altra a pensarsi come Altra[52]. Qui i temi teologici della fede e dell’alterità di Dio trovano, come vedremo, un terreno fertile per l’identificazione del matrimonio nel Signore.

Nella coppia non c’è nulla da armonizzare e da contrattare; è come una deriva dei continenti che produce nuovi mondi e nuovi confini. In questa immagine geografica il significante fluttuante corpo assume il tratto simbolico spaziale di abitare la distanza, caratterizzato dal paradosso di essere dentro e fuori, vicini e lontani, ugali e diversi[53]. Complessivamente il corpo maschile-femminile è un linguaggio che si iscrive nel codice spaziale. E' evidente che il corpo nella sua materialità occupa un'estensione, ma che cosa significa in profondità l'affermazione che il corpo è simbolo spaziale? Il corpo può essere spazio-luogo di comunicazione eppure demarca una separazione insanabile. Secondo M.Merleau-Ponty il corpo non è nello spazio; esso abita lo spazio. In quanto io ho un corpo, lo spazio e il tempo non sono per me una somma di relazioni che la mia coscienza sintetizza concettualmente supponendo un corpo; il mio corpo si applica ad essi e li abbraccia. "L'esperienza motoria del nostro corpo non è un caso particolare di conoscenza, ma ci fornisce un modo di accedere al mondo e all'oggetto, una "praktognosia" (intenzionalità motoria pura) che deve essere riconosciuta come originale e forse come originaria"[54]. Il corpo è mediatore di un mondo, è uno spazio espressivo, non uno fra gli altri, ma l'origine di tutti[55]. "La spazialità del corpo è il dispiegarsi del suo essere corpo, il modo in cui esso si realizza come corpo"[56]. Il corpo sessuato è un'intenzionalità originale e al tempo stesso la radice vitale della percezione, della motilità, della rappresentazione e dell’intersoggettività. Non si può intendere perciò il corpo sessuato in modo funzionale come reciproco scambio di favori o come reciproco soddisfacimento di bisogni. Il maschile non può stare senza il femminile altrimenti compromette la propria identità.

Tale originarietà del corpo sessuato ha anche un’importante ripercussione epistemologica. La percezione erotica non è una cogitatio che intenziona un cogitatum perché non appartiene all'ordine dell'intelletto, ma collega corpo a corpo[57]. Il corpo rappresenterebbe una specie di immediatezza con l’altro, con lo spirito, esattamente perché abita quel vuoto insaturabile del ni-ente. In questo vi sarebbe una rivincita della res extensa rispetto alla res cogitans, perché si riconoscerebbe una qualità razionale extraconcettuale del corpo e un linguaggio della sensibilità più originario di quello del pensiero formale. Tutto andrebbe ancora nella testa ma nell'elaborazione dei sensi. Il corpo esprimerebbe così l'esistenza nella sua apertura all’esteriorità: corpo e spirito si presupporrebbero a vicenda; l'esistenza-spirito sarebbe un’incarnazione perpetua dell’altro[58]. La sessualità così darebbe avvio alla metafisica, che non è ridotta a conoscenza, piuttosto comincia con l'apertura ad un altro[59].

 

 

6. Corpo maschile e femminile spazio-luogo di rivelazione e di salvezza: theologica

 

Al termine di questo lungo andirivieni sulla coppia possiamo affrontare la plausibilità di connettere uomo e donna all’esperienza religiosa.

La tesi su cui stiamo lavorando è che i topoi corpo e coppia sono “significanti fluttuanti” capaci di caricarsi dei significati più estremi come la morte e la vita, la dannazione e la salvezza, il peccato e la Grazia. Sono i contesti a determinare queste variazioni e i contesti sono realtà di difficile determinazione. E’ ormai assodato che i significati di una data realtà non sono più impresa di un solo soggetto[60], ma sono un uso in una data comunità. L’unità minimale del linguaggio non è più il segno indipendentemente dall’uso pragmatico condiviso. Oggi su questo versante si gioca tutta l’epistemologia e i criteri di verità dei discorsi regionali delle scienze. Si è prodotta una singolare convergenza tra le sensibilità ermeneutico-trascendentali e i versanti pragmatico-linguistici sul fronte dell’uso performativo e metacomunicativo per accedere ai significati del linguaggio[61].

   Ora ci pare che il contesto liturgico di condivisione di fede carichi la coppia della dinamica fondamentale dell’Alleanza, ovvero dell’unilateralità del dono di Grazia. La liturgia è l’ambito pragmatico-fondamentale in cui si realizza l’agire comunicativo simbolico dove l’inapparente diventa ovvio, o per dirla con J.Searle dove x vale y nel contesto ct[62]. La simbolicità che attraversa tutti i codici della performance rituale produce un passaggio ad altro tipo di esperienza rispetto alla semanticità comune per cui un qualsiasi gesto, o una qualsiasi parola presa dentro nel rito producono una violazione del mondo e introducono nel frammezzo dell’ambiguità della vita, ovvero in quella casella vuota del sottrarsi dell’essere alla pretesa saturabilità operata dall’uomo. L’improvviso apparire nel rito di una zona d’ombra incontrollabile, è il tralucere negli eventi del mondo di ciò che si sottrae allo sguardo ed esige una “guardata curva” per impedire la riduzione dell’alterità del Sacro alla stregua dei fatti ordinari. Il sacramento del matrimonio celebrato nel rito opera il passaggio dalla semanticità creaturale, dove permangono i beni dell’amore indivisibile per rimediare alla solitudine e della procreazione a servizio della vita, al significato secondo di tipo religioso, dove il legame coniugale traduce efficacemente l’amore di Cristo per la Chiesa. A dire il vero l’attuale celebrazione rituale produce un duplice passaggio, civile e religioso. Da quando la Chiesa si è accollata anche l’onere civile nei regimi concordatari con gli Stati moderni il sacramento del matrimonio è rito di passaggio dalla personalità individuale dei partners alla personalità corporativa della coppia. Questa prassi giustifica una formulazione del contratto nel rito abbastanza laica e giuridica. Il primo passaggio non esaurisce un sacramento cristiano se non si opera un secondo passaggio sul piano della Grazia. Solo il rito è capace di garantire questa trasmutazione, affatto normale come si dimostra nell’Ultima Cena di Gesù in rapporto alla sua morte. Il rito eucaristico prima dell’evento è parte integrante della morte e risurrezione di Gesù con la precisa funzione di interpretare religiosamente un fatto ambiguo ed empio, che normalmente sarebbe inteso come scacco e come ritrarsi di Dio[63]. Il rito nuziale permette di cogliere nella vicenda umana dell’amore un surplus d’altro genere, che ha i caratteri dell’agape di Dio, unilaterale, gratuito e folle. Solo a questo livello, a mio parere si può parlare di vocazione religiosa al matrimonio, che è una vera chiamata da maturare nel tempo col partner, che impone un’etica coniugale anomala, impossibile da estendere universalmente a chiunque scelga la via del matrimonio come rimedio alla solitudine. Da questo punto di vista la vocazione matrimoniale in senso religioso non è da tutti per i prevalenti caratteri escatologici che incarna.

La natura della coppia è ambigua: può perseguire la strategia della strumentalizzazione dell’altro per i propri obiettivi adattativi, o può far tesoro della differenza dell’altro per l’avventura della creatività umana e di lì eventualmente spingersi fino al dominio dello Spirito. Nei primi due casi il rapporto è contrattuale, bilaterale, dove si calcolano costi, prestazioni, vantaggi e svantaggi. Se il sacramento del matrimonio cristiano persegue la via antropologica del contratto non può sovrimporre la logica della Grazia, se non operando forzature. Solo nello scarto simbolico del il rito è possibile accedere ad un nuovo gioco linguistico dove la bilateralità si apre all’unilateralità e dove la funzionalità dei reciproci vantaggi si apre alla follia del dono.

La storia del sacramento si può polarizzare sull’importanza o meno della celebrazione liturgica in ordine alla specificità religiosa del matrimonio cristiano. E’ dimostrato infatti che allorquando la Chiesa ha schiacciato la natura del matrimonio sul contratto ha ricuperato i valori della creazione ma non è riuscita a salvaguardare lo specifico religioso; invece quando si è preoccupata di far risaltare nel matrimonio i significati religiosi si è dovuto insistere sul valore della celebrazione[64]. La tesi è che la celebrazione sponsale sposta il “significante fluttuante” coppia su un registro diverso da quello ordinario, senza tuttavia distruggerlo. Il rito riesce a configurare il perficit dell’adagio scolastico non nei termini della continuità, ma della discontinuità, del salto iniziatico su un terreno diverso, non più omologabile con quello precedente. Siamo in un altro gioco linguistico, innescato dal normale rapporto di coppia, ma incommensurabilmente diverso, al punto che non può criteriare la normale vicenda coniugale.

Il testo biblico di riferimento è Ef 5,21, dove il coniugium è riferito al rapporto Cristo-Chiesa. Sebbene questo testo non abbia ricoperto nella tradizione il ruolo di testimonio del sacramento cristiano perché si privilegiava l’episodio delle nozze di Cana, oggi nella teologia rappresenta il luogo paradigmatico[65]. Il passaggio vertiginoso di Paolo per cui l’amore coniugale cristiano è dello stesso genere dell’amore di Dio è il punto nevralgico di una teologia cristiana del matrimonio. Paolo con il suo inimitabile stile conciso e radicale annuncia che il Vangelo di Gesù si manifesta nel mistero della Croce dove si rivela l’amore di Dio verso tutti, anche verso i reprobi. In Rm 3,24 i due complementi avverbiali dwrean e th autou cariti caratterizzano la giustificazione come dono e come Grazia[66]. Quali sono i tratti dell’amore di Dio? A.Nygren per segnalare l’intimo legame tra l’amore di Dio e la Croce di Gesù parla di “agape della croce[67], che ha il suo testo teologico classico in Rm 5, 6-10 : “Noi eravamo ancora incapaci di avvicinarci a Dio, quando Cristo, nel tempo stabilito, morì per i peccatori. E’ difficile che qualcuno sia disposto a morire per un uomo onesto; al massimo si potrebbe forse trovare qualcuno disposto a dare la propria vita per un uomo buono. Cristo invece è morto per noi, quando eravamo ancora peccatori: questa è la prova che Dio ci ama.Ma non basta: ora Dio per mezzo della morte di Cristo ci ha messi nella giusta relazione con sé; a maggior ragione ci salverà dal castigo, per mezzo di lui. Noi eravamo nemici suoi, eppure Dio ci ha riconciliati a Sè mediante la morte del Figlio suo; a maggior ragione ci salverà mediante la vita di Cristo, dopo averci riconciliati”.

Nygren propone quattro osservazioni sull’agape di Dio:

·    L’agape è inscindibilmente legato alla croce sia in Paolo che in Giovanni (1Gv 3,16);

·    l’agape di Cristo è l’agape di Dio. Nella morte di Cristo è Dio che si rivela (Rm 8,39);

·    l’agape di Dio è assoluto e senza motivo;

·    l’agape di Dio si dimostra nella morte di Gesù non solo per gli ingiusti e i peccatori, ma perfino per gli empi (uper asebwn apeqanen). L’amore di Dio si manifesta nella condivisione dell’empietà: è questa l’idea nuova di sacrificio[68].

A.Nygren sostiene che l’agape di Dio non è solo una “differenza di valore” rispetto alla concezione antropologica di amore, ma una “differenza di tipo” e indica una tavola sinottica dove il confronto tra i due “giochi linguistici” è antitetico. Segnaliamo solo i caratteri dell’agape:

·    L’agape è sacrificio.

·    L’agape si abbassa.

·    L’agape è la via di Dio verso l’uomo.

·    L’agape è grazia, la redenzione è un’opera dell’amore divino.

·    L’agape è amore disinteressato, “non cerca il proprio vantaggio”, è dono di sé.

·    L’agape vive la vita di Dio, osa pertanto “perdere la propria vita”.

·    L’agape è in primo luogo l’amore di Dio: “Dio è agape”. Anche se l’agape è rivolta all’uomo, è fatta a somiglianza dell’amore di Dio.

·    L’agape è sovrana rispetto al suo oggetto, vale per i “buoni” come per i “cattivi”, è amore spontaneo, che “scaturisce come una fonte”, “non motivato”.

·    L’agape ama e crea un valore nel suo oggetto[69].

Riteniamo che questi tratti possano essere essenzializzati in tre: unilateralità, gratuità, follia dell’agape di Dio, rimandando a  Rm 6,8, a Rm 3,24, a Ef 2,8, a 1Cor 1,18.

La difficoltà ad iscrivere simbolicamente l’amore di Dio nell’amore coniugale deriva dall’incommensurabilità delle esperienze: mentre la prima è unilaterale gratuita[70], la seconda è bilaterale funzionale-adattativa. Il pensiero arrischiato di Paolo non ha trovato conferma nella tradizione perché il matrimonio cristiano di fatto ha assunto il modello funzional-adattativo medio, che non esclude di principio la logica del dono, ma neppure risulta evidente come figura specifica dello sposarsi nel Signore. Il Cristianesimo ha semplicemente fagocitato il matrimonio della creazione, rendendo specifico ciò che è necessario e comune a tutti gli uomini[71].

Sarebbe opportuno ristabilire la logica sacramentale della Grazia, paradigma di riferimento per i coniugi cristiani. In questa operazione il rito sacramentale diventa decisivo perché è il contesto in cui l’amore umano della creazione vale l’amore di Cristo per la sua Chiesa. Si verifica una “transustanziazione” del vincolo, che rimane amore di un uomo per una donna, ma che porta la realtà della Grazia unilaterale, gratuita e folle della Croce di Cristo. La follia del dono su cui si regge la nuova intenzionalità sacramentale del matrimonio cristiano diventa talmente u-topica che alla fine pare giustificato un realistico compromesso col vissuto. Così il Cristianesimo omologicamente fa coincidere le intenzionalità dell’agape con i valori antropologico-culturali dell’amore fedele, indissolubile e fecondo. Tale operazione ha un grosso vantaggio dal punto di vista sociologico perché trova consenso pressoché unanime anche al prezzo della confusione tra religioso ed etico nel legame di coppia. Dal punto di vista specificamente religioso si ha però una grande perdita perché diventa improbabile la trascrizione omologica dell’unilateralità dell’agape nei termini della bilateralità del coniugium. Qui sta il rompicapo del sacramento del matrimonio oggi. Bisogna chiarire teologicamente che lo specifico del sacramento cristiano è l’amore unilaterale della Croce di Cristo, che non aliena la bontà creaturale dell’amore creaturale degli sposi. Essi possono vivere significativamente e con la benevolenza di Dio la loro storia affettiva contro la solitudine e a servizio della vita, senza implicare necessariamente il versante vocazionale del secondo livello propriamente sacramentale della trascrizione efficace dell’amore trinitario. Bisogna ulteriormente chiarire dal punto di vista pastorale l’ambiguità devastante di un’identificazione semplice tra decisione di sposarsi dei battezzati e conseguenza necessariamente sacramentale in ordine all’unilateralità dell’amore di Dio.

 

 

6.1. La coppia sotto il segno kenotico dell’amore trinitario

 

Il matrimonio ritualizzato nel pasto conviviale eucaristico ci fa capire, mentre mangiamo, che l’uomo vive non di solo pane, non di sole dinamiche affettivo-adattative, ma dell’amore di Dio. Il rito nuziale non è nell’ordine del necessario, come il prendere moglie o marito, ma nell’ordine del più che necessario, del dono e della Grazia. Il rito rivela Dio scavando un abisso inesplorabile là dove i partners non si sentono più garantiti dalla loro reciproca attrazione, attivando una assenza, un momento di trepidazione e di sgomento. E’ la percezione religiosa del mondo, che si manifesta nel Vangelo nel senso di abbandono patito da Gesù da parte di Dio, che si ritrae per rispettare la libertà del Figlio. “Dio, sostiene G.Lafont, è presenza nel ritiro nel cuore del mondo: presenza, poiché egli viene, ritiro, poiché lascia sempre libero lo spazio della riconoscenza”[72]. La fede religiosa è l’atto di libertà che mostra riverenza e abbandono al ritrarsi di Dio e non scambia il suo silenzio con l’ostilità o col disinteresse. Per il filosofo Vincenzo Vitiello si può parlare di nihilismo nella Trinità. Nihilismo non è affermazione del nulla, ma dell’Altro dall’essere e dal non-essere. Nihilismo è stare frammezzo a questi due inafferrabili. Nella kenosi di Gesù si rivela “l’ultimo Dio”. “Qui non avviene nessuna redenzione, ché l’uomo non può sciogliersi, liberarsi da questo vortice, trovare garanzia e custodia nell’essere, ché l’essere è questo vortice, questa finitezza”[73].  Non si può vedere Dio faccia a faccia senza morire; Dio  si percepisce come una presenza che si sottrae come è testimoniato da Mosé e da Elia (Es 33,18-23; 1Re 19,11-13), ovvero dalla Legge e dai Profeti (cf. Mc 9,4). Il rito abita quel vuoto kenotico e segna la coscienza con la particolare esperienza, che chiamiamo amore, dove l’autolimitarsi del Padre crea l’autonomia del Figlio mantenendo sempre una profonda nostalgia reciproca nell’amore dello Spirito Santo[74]. L’autolimitarsi kenotico lascia la libertà all’altro perché non pretende nulla, ama in modo unilaterale indipendentemente dalla risposta o dal merito dell’altro. L’autolimitazione non copre il terreno altrui, non si allarga fino a soffocare l’altro, non invade per tentare di preservare l’altro dall’errore. In qualche modo il ritrarsi di Dio permette all’altro di esistere come libertà imprevedibile e assoluta. “Dio non è dipendente dall’uomo (né l’uomo compimento di Dio) poiché Dio si autodetermina verso l’uomo liberamente: Dio non è necessario all’uomo poiché, ponendo liberamente l’uomo creato, egli attende da lui una risposta ugualmente libera: se la relazione Dio/uomo non è segnata dalla libertà essa non è”[75]. L’autolimitarsi si chiama allora dono e la libertà diviene rischio della fede, che non è costretta a rispondere dell’invadenza dell’altro ma può solo esporsi rischiosamente alla sua presenza assente. Il dono è alea, fortuito, sorprendente, al di là delle attese, incondizionato, irrompente, immotivato, senza morale; è un “evento impossibile”, dunque u-topico, irrazionale, senza tempo, non è l’effetto di niente non obbedisce a niente. “E’ come cercare mezzodì alle quattordici”, direbbe Ch.Baudelaire. Paradossalmente la sorpresa del dono puro dovrebbe avere la generosità di non donare niente che sorprenda e che appaia come dono[76]. Il dono per rimanere tale non sopporta contro-dono, è unilaterale, non impegna nel senso della necessità, ma nel modo della libertà. E’ talmente fuori dall’orizzonte di senso ordinario che non ha luogo nella storia se non nell’offrirsi in croce di Gesù Cristo e permane utopico anche per i Cristiani che sembra non abbiano altro orizzonte per trascrivere la Grazia se non nell’orizzonte contabile del contro-dono e della morale.

La libertà d’altro canto è segnata dal dono non come necessità, non come  presenza incombente, ma come possibilità propria di esposizione al rischio, dove l’altro è inteso nel suo ritrarsi, ovvero nella sua assenza fino alla sensazione dell’abbandono. Gesù in croce grida: “Dio mio perché mi hai abbandonato?” Di lì passa la possibilità dell’atto di libertà se affidarsi o meno a colui che si sottrae. Finalmente il rapporto religioso non è più codificato sullo schema funzionale di bisogno umano e soddisfacimento da parte di Dio; finalmente Dio non è più una variabile soteriologica indotta dalla paura dell’uomo di non essere garantito nella morte; finalmente la morte, come cifra estrema della finitezza può essere abitata come luogo di libertà, ovvero di fede che si abbandona nelle mani di Dio. Allorquando più  nulla sostiene e Dio stesso col suo ritrarsi è percepito come nulla che lascia le cose come sono senza rispondere alle attese di salvezza dell’uomo, allora nella crisis della progettualità anticipatoria e prevedibile si realizza l’incontro tra Dio e l’uomo, dove Dio si rivela come Grazia indeducibile e folle e l’uomo si scopre come libertà, che sembra giocare contro se stessa e il buon senso. Al di fuori di questo luogo tragico dell’esistere il rapporto religioso si adultera e il dono di Dio non è altro che il beneficio previsto dall’uomo e la libertà non è altro che supina obbedienza a comandamenti morali di un qualche potere supremo. Dio allora è il servo dell’uomo, vincolato al suo desiderio allucinato di sopravvivere, che restituisce il favore a Dio accettando di essere schiavizzato da una norma morale trascendente. Il rapporto religioso diventa un tragico destino dove il dono di Grazia perde la sua valenza di dono, in quanto vincolato alle attese dell’uomo, e la libertà si travia in necessità morale di perseguire l’unica strada possibile.

   Quando l’amore di coppia entra in questa dinamica di dono e di libertà ci troviamo su un altro livello rispetto al bene creaturale del matrimonio o alla riduzione del matrimonio religioso a morale.  Il rito del matrimonio attiva la dinamica kenotica dell’amore di Dio, che per rispettare la libertà del Figlio si ritrae. Il ritrarsi dell’amore non sopporta la logica bilaterale del dono e del contro-dono, è invece iniziativa unilaterale, gratuita e senza scopo funzionale. E’ pura dedizione di vita indipendentemente dalla reazione dell’altro. Non è un agire strategico per ottenere i benefici previsti, è atto puro finalizzato in se stesso. Io ti amo non perché mi ami, ma io ti amo perché ti amo. Non c’è bisogno di attuare meccanismi per legare l’altro come la gelosia o le regalie o gli inganni. La fedeltà nell’amore è indipentente dalla fedeltà del partner; il legame sponsale non è una garanzia di possesso: nell’amore dell’uno la libertà dell’altro, che può affidarsi o revocare ad ogni istante la fedeltà e dubitare della tenerezza e della dedizione. L’amore come dono di Grazia è l’esercizio della capacità di non coprire l’altro soffocandolo con richieste di diritti acquisiti, accettando l’imprevisto della libertà del partner, impermeabile alle  lusinghe e ai ricatti affettivi. In questo gioco di dono unilaterale, dove si prevede la ritrosia e la neghittosità, c’è la possibilità di scoprire che l’identità di ciascuno è nascosta nell’alto e che la verità consiste nel rischio di esporsi al mistero dell’altro. In questa logica il rapporto coniugale è del tutto simile al rapporto religioso tra il dono di Dio e la fede dell’uomo. Nella sacra Famiglia Gesù non nasce dal desiderio di un padre e di una madre legati soltanto da un vincolo giuridico; egli è un dono dal cielo sortito dalla previa rinuncia al desiderio dei genitori. Non c’è il triangolo castrante i cui ogni persona è impedita di distinguersi dall’altra e può svilupparsi la relazione trinitaria[77].

Tale dinamica, mai smentita di principio nella dottrina della Chiesa, sempre emarginata di fatto per l’impossibilità che diventi vocazione universale o che ottenga il consenso unanime, è stata rilanciata in modo esplicito nell’adattamento del rituale del matrimonio in lingua italiana. Tra i vari schemi proposti per un itinerario all’interno del “mistero grande” si trova un modello del tutto nuovo, che esplicitamente propone la pista dello specifico matrimonio kenotico dell’amore trinitario.                                                                                                                                        

 

6.2. La pastorale del matrimonio tra il necessario creaturale e lo specifico religioso-cristologico

 

E’ arrivato il momento di chiarire la dinamica tra necessario e specifico, che è un po’ la chiave di volta della nostra proposta. Sosteniamo che la identificazione teologica e pastorale tra ciò che è necessario e ciò che è specifico offre vantaggi contingenti in ordine al consenso, ma alla fine rischia di stravolgere il cristianesimo. La distinzione è suggerita da P.de Locht, il quale dal versante della morale chiarisce il pericolo per la fede della confusione tra il necessario e lo specifico. “I cristiani hanno creduto a lungo, e in parte continuano a credere di avere il monopolio dei valori morali, o comunque un’evidenza superiore nella percezione e nella pratica di questi valori”[78]. Il permanere in questo atteggiamento di sufficienza comporta alcune conseguenze gravi come l’integrismo senza il riconoscimento dei valori altrui, l’intransigenza per cui nulla è rivedibile anche di fronte ad elementi nuovi come nel campo della contraccezione, o della bioetica; l’oggettivismo escludente l’intenzionalità soggettiva per cui la moralità diventa una prerogativa dell’autorità competente; il formalismo prevalente sul vissuto per cui la dichiarazione dell’infallibilità del matrimonio convince infondatamente molti cristiani di essere più fedeli degli altri. Ne sortisce un immagine di Dio geloso dei suoi statuti stabiliti da sempre senza lasciare spazio alla responsabilità umana e attingibile indubitabilmente con la fedeltà ai suoi comandamenti. Invece, sostiene P.de Locht “ciò che per noi è essenziale non è necessariamente il nostro specifico. E non abbiamo il diritto di monopolizzare, in quanto cristiani, opzioni di vita che appartengono al patrimonio comune dell’umanità”[79]. Si vuol forse neagre un’etica cristiana? Certamente no, ma riproporla in ciò che vi è di specifico, rinunciando a sentirci miliori degli altri e ridando “tutto il suo valore alla prima rivelazione di Dio nella creazione, che la venuta di Gesù di Nazareth non ha né offuscato né reso inutile”[80].Il matrimonio cristiano deve rinunciare a stabilire i criteri al matrimonio della creazione e deve assumere ciò che gli è specifico e che talvolta è strategicamente ignorato. Pur di non perdere il consenso stabilendosi nel milieu dell’opinione pubblica media, il cristianesimo è disposto a contrattare il suo specifico. Mette il religioso dove non c’è per garantirsi un’autorità dall’alto in materia che non compete solo a lui e rinuncia al religioso per paura di perdere consenso. Il rito del matrimonio rinuncia al necessario, ovvero rinuncia alla gestione diretta dell’umano, per il più che necessario o per lo specifico cristiano. “La liturgia, afferma J.-Y. Lacoste, in senso stretto, non è necessaria. Ma il modo di questa non-necessità è lo stesso sul quale l’Assoluto stesso non ci è necessario... Questa non necessità deve essere pensata infatti come una più che necessità... Si definirà allora il più-che-necessario come detentore delle condizioni d’un’esistenza che deborda le misure dell’essere-nel-mondo. Il più che necessario è fuori misura... E’ l’escatologico o la sua promessa, intesi come surplus. La liturgia saprà forse offrirci il pane necessario alla vita. Ma ci offre anche il vino del Regno”[81]. La liturgia, sostiene sempre Lacoste, non conferisce nessuna presa sull’Assoluto: la frontiera del mondo e delle realtà definitive, o escatologiche, è quella del disponibile e dell’indisponibile. La liturgia fa opera di negazione e di posizione, essa nega che la logica dell’inerenza scopra tutto ciò che siamo e affermi il nostro desiderio d’essere davanti a Dio. Quando preghiamo contestiamo che l’essere-nel-mondo detenga tutte le ragioni del nostro essere e concediamo che il rapporto con l’Assoluto possa essere la prima e l’ultima parola di ciò che siamo. Il fatto che siamo esposti all’assoluto e la  libertà di esporsi alla sua condiscendenza permettono una nuova formalità in cui l’Assoluto si fa presente. La sua presenza non è cattura, o disponibilità, ma tensione escatologica, avvertita nel tempo come assenza kenotica. Dal punto di vista epistemologico significa che la presenza di Dio non è pensabile se non come Parousia, se non come verità labirintica e asintotica. “Si qualificherà dunque alla fine la liturgia come attenzione o desiderio della Parousia nella certezza della presenza non parusiaca di Dio”[82]. Chi prega abita un limite, una possibilità aperta e ingestibile autonomamente e non un aldilà. Egli confessa la sua storicità e invoca l’eschaton implorando che venga il Dio già presente nell’ordine chiaro-oscuro del mondo.

Il rito cristiano del matrimonio attiva la logica del dono/libertà, che è logica u-topica, anticipazione escatologica del Regno. E’ solo per questo carattere definitivo che la teologia tradizionalmente ha associato le nozze matrimoniali alle nozze della verginità religiosa. Se si dovesse restare sul piano segnico della creazione il paragone farebbe sorridere, ma nella paradossalità del dono unilaterale, gratuito, folle dell’amore i due stati sono omologhi.

Ora dal punto di vista della strategia pastorale la Chiesa deve decidere se rimanere nel quadro della gestione del consenso per far sentire il più possibile la sua voce sulle coscienze, oppure se abbandonare questa logica della gestione burocratica del senso della vita per affermare la sua alta vocazione religiosa senza terrorismi e unilateralità in ciò che riguarda il necessario patrimonio dell’intera umanità. In questo secondo caso per quanto concerne il matrimonio dovrà rinunciare ad alcuni atteggiamenti oggi ancora molto problematici.

 

7. Necessità di un cambiamento di paradigma teologico per il sacramento del matrimonio            

 

La proposta che è venuta avanti ha bisogno a questo punto di un confronto con le impostazioni  teologiche correnti per giustificare la necessità di un cambiamento per un sacramento da sempre diverso dagli altri. Il rompicapo difficile da risolvere è la discrasia tra la coscienza ecclesiale postconciliare e il puntiglioso giuridicismo contrattuale del matrimonio alla base della riflessione classica e del rito stesso. Anche nell’Editio Typica Altera del 1990 il rituale dà al consenso un’importanza capitale (nn.2,23,25,ecc.) senza nessun riferimento in questo momento decisivo del sacramento al mistero pasquale e allo Spirito Santo. I contraenti che prima del consenso vengono chiamati uomo e donna (nn.62,63,96,97,130,131,161,162), subito dopo sono detti sposi (nn. 64,98,132,163). Ora a tutti sembra evidente l’impressione di A.Nocent: “Nei paesi dove il matrimonio civile precede il matrimonio religioso, le stesse domande e lo stesso consenso costituiscono il rituale di questo matrimonio davanti un ufficiale civile. Conseguentemente, alcuni si domandano: perché fare di nuovo, davanti al sacerdote, quello che già è stato fatto?”[83]. Le trattazioni teologiche in genere avvertono lo scoglio ma non riescono ad uscire dalle secche dell’ambiguità. Il rischio è di sacralizzare il consenso e quindi il matrimonio della creazione, oppure di rendere compatibile il livello antropologico con quello teologico senza scarti e fratture, rimettendo lo specifico teologico alle conseguenze morali. Che ne è del dono di Grazia? Serve solo per ratificare il consenso dei coniugi, oppure introduce in un ordine nuovo che viene donato dall’alto? Lo scivolamento più frequente è di ritenere che nel consenso sacramentale l’amore umano venga elevato ad un livello teologale, che ha ripercussioni morali per la tutta la vita. Ma in questa versione come far coesistere la dinamica affettiva dell’amore umano di pertinenza dei contraenti con il dono di Grazia dall’alto, come comporre la bilateralità del contratto con l’unilateralità dell’agape a cui entrambi i coniugi sono chiamati? O che ne è dell’autonomia dell’amore umano se è totalmente fagocitato dalla dimensione sacramentale? I meccanismi unitivi che hanno reso possibile l’unione dovrebbero essere sospesi per far posto unicamente alla folle logica della Grazia? La risposta tradizionale a queste domande è piuttosto reticente e generica: tiene l’autonomia del legame affettivo e la novità del dono di Dio a volte sovrapponendoli, a volte mettendoli in tensione, ma senza troppo impegnarsi nella loro articolazione e nelle conseguenze pastorali. Il nuovo compito della teologia e della pastorale è di trovare punti di equilibrio in cui vengano salvaguardati i vari livelli per una più evidente trasparenza dello specifico religioso. Il nostro sforzo ha tentato di declinare queste tensioni. Quali sono i punti di forza della nuova proposta che assecondi l’odierna coscienza ecclesiale stretta da maglie giuridico-sociali troppo anguste? In filigrana leggeremo le istanze venute avanti dal Direttorio di pastorale familiare della CEI edito nel 1993 e tenteremo di dimostrare che quelle istanze teologico-pastorali esigono un nuovo paradigma teologico se si vuole procedere con un certo rigore e non ricadere in continue ambiguità e contraddizioni. Si verifica infatti che, a fronte di una nuova coscienza ecclesiale sul matrimonio, vi siano continui incidenti di percorso, che tradiscono aggiustature di ripiego con conflittualità difficilmente componibili.

 

7.1. Autonomia creaturale del matrimonio

 

In primo luogo il documento si richiama a Gaudium et Spes n.48, dove si afferma  l’autonomia creaturale del matrimonio con le caratteristiche proprie, native e ineliminabili di totalità, unità, fedeltà, indissolubilità e fecondità: “Il matrimonio, quale intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, nasce dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono” (DPF, n.10). Bisogna tener fermo il rimando di Gesù all’origine del mondo circa il matrimonio, che gode di un’autonomia voluta dal Creatore. Una teologia che non mantenga questo livello rischia di contravvenire alla volontà del Creatore. Allora ci si chiede: perché la Chiesa si rende unica garante del contratto, come se solo il contratto sacramentale istituisse la coppia? Perché non si riconosce il matrimonio civile come bene della creazione in cui si raggiungono le finalità native proprie del matrimonio? Perchè i coniugi sposati solo civilmente possono separarsi e sposarsi in chiesa come se nulla fosse successo? Perché il legame civile è inteso come una sorta di concubinato, sebbene i toni magisteriali siano ultimamente un po’ più sfumati[84]? Non c’è in questa prassi una fagocitazione ecclesiastica indebita del livello creaturale? Un nuovo paradigma di teologia del matrimonio deve rispettare il livello creaturale, non sacralizzarlo, non demonizzarlo, piuttosto deve evidenziare ciò che è specifico del sacramento. Se si ritiene che solo il consenso faccia il sacramento cristiano, come scriveva Papa Nicola I ai Bulgari (DS, 643), non c’è spazio per l’autonomia creaturale del matrimonio. J. Duss-von Werdt sul Mysterium Salutis ha sostenuto: "Fintantoché ci si attiene alla teoria del 'consensus', che poggia sulla tradizione dell'antico diritto romano, la 'validità' del matrimonio, del suo 'costitutivum', non rientra nella sfera propriamente teologica"[85]. Tuttavia la Chiesa nel rispetto della volontà originaria di Dio, che ha reso il matrimonio un bene della creazione senza che il peccato lo intaccasse alla radice, sostiene e riconosce questo livello, non se ne appropria e lo restituisce all’umanità comune come valore essenziale della condizione terrena. Su questa base sono possibili i matrimoni misti tra credenti e non-credenti e i matrimoni interconfessionali tra diverse tradizioni cristiane, che non riconoscono il matrimonio come sacramento.

 

7.2. Lo specifico del matrimonio cristiano

 

Dal Vaticano II, in modo sempre più preciso fino al Direttorio di pastorale familiare, viene affermato il significato religioso del matrimonio come un significato ulteriore che si aggiunge a quello naturale. Così il matrimonio dei battezzati diviene “il simbolo reale della nuova ed eterna alleanza, sancita nel sangue di Cristo. Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla croce” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n.13; DPF n.11).

Lo specifico dunque è un dono dall’alto dello Spirito, non è frutto di carne e sangue, ed è la carità di Dio che si manifesta nella Croce di Gesù. Il sacramento non è più questione di consenso ma di Spirito. E’ vero che si innesta sulla scelta dei contraenti, ma non è solo questione di consenso. Per questa ragione alcune conferenze episcopali hanno anticipato la benedizione nuziale dopo gli anelli, come la tedesca, o addirittura hanno introdotto un’epiclesi prima del consenso, come la polacca. “Questo coordinamento diretto della benedizione degli sposi novelli, al centro della celebrazione del matrimonio, rende chiaro che, sebbene gli sposi pongano interamente il segno centrale del sacramento nella dichiarazione della loro volontà, tuttavia la grazia del sacramento è dono gratuito di Dio che la Chiesa implora per la coppia, glorificando e supplicando Dio (pregando con anamnesi ed epiclesi)”[86]. La novità dell’epiclesi non trova generale consenso da parte dei teologi, tuttavia il Papa, memore forse della sua provenienza dalla Chiesa polacca, riconosce lo specifico religioso del matrimonio nel dono particolare dello Spirito Santo.

L’amore è soprannaturale quando è incondizionato. “L’incondizionato, dice S.Weil, è contatto con Dio. Tutto ciò che è condizionato è di quaggiù[87]”. L’amore di contratto è condizionato ed è quindi di quaggiù. All’amore di Dio e del prossimo Gesù ha aggiunto un terzo amore: l’amore incondizionato, o amore anonimo del prossimo. “Tutti gli altri amori, malgrado i giuramenti, sono condizionati e si esauriscono a poco a poco col venir meno delle condizioni”. Anche il matrimonio è soggetto a questa legge: “Quanto all’amore coniugale, se gli sposi sono ambedue santi, si tratta di amicizia tra santi - se solo un coniuge lo è, l’amore anonimo del prossimo, da lui applicato nei confronti dell’altro, è l’unico fattore stabile delle loro relazioni. - Se nessuno dei due lo è, venendo meno le condizioni, l’amore coniugale si esaurisce e cessa di esistere, malgrado il sacramento”[88]

 

7.3. Il significato del rito sponsale in rapporto allo specifico religioso del matrimonio cristiano

 

Già il Concilio di Trento si era reso conto che l’insistenza sul solo consenso come causa efficiente[89] del matrimonio svuotava di fatto il sacramento. Con il decreto Tametsi si rovesciano i termini della questione perché ora è il sacramento che rende valido il consenso-contratto. L’aggiustamento ha prodotto due effetti di grande portata. Il primo effetto negativo è la dichiarazione di illegittimità del matrimonio civile. Nel concistoro segreto del 27 settembre 1852 Pio IX condanna l’introduzione del matrimonio civile nella Repubblica di Nuova Granada ritenendo che “nihil aliud esse nisi turpem atque esitialem concubinatum” (DS 2991). Il secondo effetto positivo del Tametsi è la rivendicazione dello specifico significato religioso del matrimonio introdotto dalla celebrazione sacramentale. Il problema è che il momento religioso si custodisce solo al prezzo della perdita dell’autonomia del matrimonio creaturale. Il paradigma teologico tridentino qui presta il fianco a un rompicapo irrisolvibile: mentre si afferma il valore del contratto come causa di validità e di legittimità del consenso, si deve inverare lo stesso contratto col sacramento. E' come dire che l'effetto sacramentale, che è il contratto (contractus), sta all'origine della causa efficiente che è il consenso (consensus). "Stimolati dalle giuste opposizioni, i Padri distinguono il consensus che forma il matrimonio dal contractus; si tratta certamente del 'contratto consensuale', ma inteso sul tipo di ogni contratto che per essere pubblico, deve essere 'legale', cioè stipulato secondo la legge e non solamente basato sul consenso delle parti"[90].

 Tutto l’impianto teologico pastorale potrebbe ritrovare una maggiore plausibilità mantenendo l’autonomia dei diversi giochi linguistici, dove il contesto rituale-liturgico del matrimonio assume la libera e autonoma decisione dei coniugi di vincolarsi stabilmente per produrre un salto simbolico verso una regione diversa in cui domina non la contrattualità ma il dono di Grazia. E’ il rito che permette questo scarto, violando in qualche misura la semantica della reciprocità per introdurre nell’unilateralità dell’amore di Dio che è morto per noi in Cristo mentre eravamo peccatori. Non avevamo dunque nessun merito, nessun credito, eppure lì si è realizzata l’eccedenza della Grazia. Se il matrimonio vuole essere segno strumento dell’amore di Cristo per la Chiesa dovrà fare esplodere questa follia. E’ infatti folle per due che si sposano accogliere il paradosso dell’amore trinitario, che si traduce nell’altrettanto paradossale comandamento di far del bene a chi ti fa del male. E’ quasi la smentita della ragione che porta al vincolo sponsale e cioè il voler bene a chi ti vuole bene. Il rito per la sua caratteristica mediazione simbolico-ludica è capace di produrre questo miracolo e di far esperire pragmaticamente la dinamica dell’amore trinitario. Nel rito è in azione lo Spirito Santo, che, mentre sovverte come vento, terremoto e fuoco le misure della carne e del sangue, introduce nell’esperienza del Padre e del Figlio. E’ lo Spirito effuso abbondantemente a Pentecoste e invocato esplicitamente nel rito che rende i fedeli “figli nel Figlio”. Ne consegue che il credente è intimamente legato al rapporto del Figlio col Padre, laddove il Figlio è l’amato e in quanto amato è l’obbediente, che vive la finitezza della condizione umana senza fuggirla e vincendo la tentazione di sospettare della bontà di Dio. Lo Spirito nel rito stabilisce la comunione col Figlio per cui condividiamo con Lui il destino di non poter disporre del Padre se non nella fede, nell’obbedienza alla sua volontà. Lo Spirito rivela ai Figli il Padre come silenzio, come occultamento del suo volto e aiuta a penetrare questo ritrarsi di Dio non come disinteresse o tragico gioco ma come Amore dell’Amante che per rispetto della piena libertà dell’Amato non estorce la risposta d’amore predeterminando esiti[91]. Nell’eucaristia sponsale lo Spirito ci lega alla croce del Figlio che grida il suo abbandono di fronte al ritrarsi del Padre e contemporaneamente grida la sua totale dedizione alla volontà del Padre in un atto supremo e arrischiato di libertà umana. Così il legame sponsale di carne e sangue viene elevato dallo Spirito ad un’altra realtà dove domina il dono dell’amore divino, esattamente come il pane  della terra viene santificato dallo Spirito perché diventi il corpo di Cristo. Quel pane consacrato perde forse la sua dignità creaturale? Così è per il sacramento del matrimonio rispetto al vincolo contrattuale di carne e sangue.

La celebrazione liturgica del matrimonio diventa a questo punto l’asse portante della nuova proposta teologica, capace di salvaguardare i diversi livelli senza sovrapposizioni. Il DPF al n.69 sostiene: “per sua intima natura, la celebrazione liturgica del sacramento del matrimonio è realtà eminentemente evangelizzante ed ecclesiale”. La spiegazione del carattere ecclesiale ed evangelizzante del sacramento è solo in apparenza ampia e teologicamente impegnativa. Si dice infatti: “E’ realtà evangelizzante perché celebrazione sacramentale, segno che costitisce anche nella sua realtà esteriore una proclamazione della parola di Dio e una professione di fede della comunità dei credenti: luogo nel quale appare manifesto che ‘i coniugi significano e partecipano al mistero di unione e d’amore fecondo tra Cristo e la Chiesa’ (CIC ca.1063)”. La celebrazione sacramentale sarebbe dunque un segno esteriore, una proclamazione della Parola, una professione di fede di fronte al mondo, o se si vuole esagerare con una formula del diritto canonico sarebbe un luogo in cui cui si manifesta la partecipazione dei coniugi all’amore di Cristo per la Chiesa. Tanta povertà  teologica  circa la liturgia in un documento ufficiale è un po’ sconcertante. In fondo i giochi sono già fatti da sempre, la celebrazione liturgica non fa altro che drammatizzare i contenuti di fede. Non una parola sulla prospettiva liturgica del Vaticano II, in cui la celebrazione è storia di salvezza in atto, è azione dello Spirito, è presenza  trinitaria, è memoria della morte e risurrezione del Signore, è esecizio del Sacerdozio di Cristo, è anticipazione escatologica. Nella liturgia secondo il Concilio si fa la salvezza, si rende presente il dono di Dio, dunque è nella celebrazione che i contraenti vengono investiti di un dono altro rispetto alla loro storia d’amore. Lì tutto si trasmuta, non è solo un segno esteriore di ciò che c’è già in un qualche culto interiore; neppure si celebra l’amore dei coniugi, ma si celebra l’amore unilaterale e incondizionato di Dio che viene invocato su di loro perché lo possano accogliere e visibilizzare nel mondo attraverso il loro legame. Nella celebrazione si verifica una svolta iniziatica, dove si crea una liminalità per passare dal gioco linguistico dell’affettività dei contraenti al gioco linguistico religioso del rapporto di Dio con l’uomo sotto il segno dell’amore gratuito. In qualche modo si deve creare nel rito una smobilitazione delle evidenze che han portato i due al matrimonio, per far posto ad una nuova evidenza, che non annulla la prima ma la allarga nelle sue prospettive.

Si potrebbe eccepire a questo punto sulle forme di matrimonio sacramentale senza l’eucaristia e sui matrimoni misti. In che senso sono ancora sacramento se non vi è l’esperienza dell’amore trinitario della croce del Figlio e se non vi è la fede della libertà arrischiata di fronte al ritrarsi del Padre? Il principio pastorale del rispetto delle diverse appartenenze ecclesiali e del cammino di ciascuno è irrinunciabile, sebbene poi venga solo sacrificata la logica religiosa del sacramento piuttosto che sollecitare percorsi a tappe differite degli sposi verso la pienezza sacramentale.

 

7.4. Sacramento del matrimonio e scelta vocazionale

 

“Il matrimonio ci appare, perché realmente lo è, come “grazia” e “vocazione”, che specificano e sviluppano il dono e il compito ricevuti nel Battesimo” (DPF, n.12). Dentro questa affermazione formalmente ineccepibile si mascherano molte tensioni difficilmente compatibili. Il tentativo è di declinare il dono di Dio con la scelta matrimoniale, che si specifica come vocazione. Il fedele sarebbe chiamato a sviluppare, come un compito, il germe di Grazia ricevuto nel Battesimo. “Infatti, all’origine del matrimonio, prima ancora della pur necessaria volontà di amore dei due coniugi, sta un atto di predestinazione ad essere conformi all’immagine di Gesù Cristo e a realizzare questa conformità secondo il dono e il carisma tipici della coppia” (DPF, 12). Se all’origine del matrimonio c’è la predestinazione ad essere immagine dell’amore di Gesù in croce, sicchè “ogni matrimonio può e deve dirsi una eco del sì di Cristo in croce” (DPF, 12), che ne è dell’autonomia creaturale del matrimonio delle origini mai abolito? Non si verifica un’altra giustapposizione che alla fine non rispetta la tensione tra dimensione creaturale e dimensione religiosa? E’ certamente vero che l’amore di coppia “può sgorgare e può consolidarsi perché trova nell’amore di Gesù in croce la sua sorgente ultima, la sua forza plasmatrice, il suo costante alimento” (DPF, 12), ma questo è vero per tutte le realtà umane come orizzonte trascendentale della Grazia.

Ora bisogna intendersi e portare l’intenzione teologica fino in fondo perché si rischia di identificare l’autonomia del consenso  con la volontà di accogliere il dono di Dio e questo francamente sembra eccessivo. Il consenso libero è in ordine ai beni della creazione e sebbene i contraenti siano cristiani non è ben chiaro in che senso aderiscano al dono specifico di Grazia. Infatti il dono di Dio nel sacramento nuziale è singolare, non genericamente battesimale, altrimenti non sarebbe uno dei sette sacramenti. Il battesimo impegna già i cristiani alla sequela di Cristo e non ci sarebbe bisogno di un sacramento specifico se non vi fosse connessa una Grazia specifica. Si ha tanto l’impressione che i battezzati siano caricati spesso di una dimensione non scelta, come una aggiunta che si sovrappone alla loro storia d’amore. Non si può dire che in quanto battezzati l’accettazione dell’offerta di Grazia sia ovvia. Sarà necessaria una maturazione di tipo vocazionale, che non va di pari passo con le strategie dell’innamoramento. Come si può pensare che un battezzato vada alla ricerca del partner in prima istanza per rispondere ad una vocazione?

Risulta ovvio che la scelta matrimoniale religiosa non avrebbe necessariamente gli stessi tempi della decisione matrimoniale simpliciter. I meccanismi del corteggiamento e dell’innamoramento fino alla promessa pubblica di legame stabile non si possono mischiare con la vocazione cristiana del legame d’amore gratuito. Tale vocazione normalmente procede a tappe: all’inizio vi è una reciproca attrazione tra i partners per i vantaggi che derivano in ordine a problemi come la solitudine, l’affettività, la sicurezza; poi l’affezione cresce e si apre alla vita e alla dedizione ai figli. In questo processo evolutivo i meccanismi di adescamento e di sottile strumentalizzazione del coniuge possono certo degenerare perché si approfondiscono le differenti strategie fino alla sensazione di essere stati ingannati, possono tuttavia imprimere una svolta perché si scopre nella dinamica della differenza un terreno imprevisto rispetto al mutuo soccorso, che acquista i tratti della grazia. Solo allora diventa sostenibile il sacramento cristiano come scelta vocazionale perché ci si rende disponibili all’unilateralità graziosa del dono per l’altro senza contropartita. Solo allora si può accettare di essere segno-strumento efficace di una realtà più ampia dell’amore coniugale, cioè dell’amore di Cristo per la Chiesa. In questo travaglio permangono tutti i meccanismi ambigui dell’amore umano con la consapevolezza nuova di essere chiamati a rendere presente un dono che viene dall’alto, non determinato da carne o da sangue.

Pertanto appare alquanto singolare l’affermazione del CIC can.1055 §.2[92], per cui il contratto valido fra due battezzati è eo ipso sacramento indipendentemente dalla fede personale o dalla accettazione dello specifico dono di Dio. Se ogni amore di coppia dovesse poi necessariamente sviluppare il dono battesimale non si capisce il sacramento specifico del matrimonio. Non aggiungerebbe nulla di specifico e diventerebbe solo una enfatizzazione di ciò che c’è già. Allora sarebbe del tutto giustificato l’accordo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa Valdese (1970) per cui nei matrimoni misti tra due battezzati basta il contratto civile perché vi sia matrimonio. Sebbene nella seconda parte del rescritto si sottolinei la divergenza tra le chiese in ordine alla sacramentalità del matrimonio, alla fine il problema si riduce alla indissolubilità del vincolo, risolto con l’affermazione comune: “Il matrimonio è un patto senza scadenze”. Il principio espresso nel documento per cui “la diversa concezione della natura sacramentale o meno del matrimonio non impedisce ad una coppia interconfessionale di vivere cristianamente la propria unione” è ineccepibile nel quadro della stessa fede battesimale e della condivisione della bontà creaturale del matrimonio. Fa problema invece quando il livello creaturale è assimilato dai cattolici al sacramento. Evidentemente vi è una sovrapposizione dei termini che alla fine creano solo tensioni a vari livelli: tra sacramento del battesimo e sacramento del matrimonio, tra matrimonio creaturale e matrimonio religioso; tra dono offerto e sviluppo vocazionale.

Circa l’azione educativa vocazionale si legge al n.28 del DPF: “Si tratta di aiutare ciascuno a maturare in quella libertà radicale, che consiste nel decidere di se stesso secondo il progetto che Dio iscrive nell’essere dell’uomo”. E se un credente esercitasse la sua libertà radicale non accettando la dimensione religiosa, ma solo le conseguenze creaturali del matrimonio, vi sarebbe sacramento? Secondo il CIC can.1055 la risposta dovrebbe essere affermativa. In che senso allora si può ancora parlare di vocazione? La vocazione è una chiamata singolare, che nel caso del matrimonio non può essere di tutti, tanto è vero che si possono scegliere solo le conseguenze morali, indipendentemente dalla fede soggettiva. E’ un rompicapo da cui non si esce: o la vocazione è religiosa in merito all’amore di Cristo per la Chiesa, allora non si può sostenere un matrimonio generalizzato da concedere a tutti purché accettino le conseguenze naturali del legame; o la vocazione è genericamente riferita alla volontà di legarsi ad un uomo o ad una donna e allora la Chiesa ha ben poco da dire. Tutti hanno la possibilità di rimediare alla solitudine facendo un patto consensuale e bilaterale con un partner, secondo il dettato della Genesi; non tutti sono chiamati ad esprimere col matrimonio il livello unilaterale dell’amore di Dio. A questo livello si può accedere per una maturazione specifica e per un dono speciale dello Spirito ricevuto nel sacramento del matrimonio e non solo in forza del proprio battesimo. La vocazione perciò non riguarda se si è portati o no al matrimonio, ma se si accoglie nel legame sponsale la dimensione religiosa dell’amore unilaterale e gratuito di Dio per l’umanità. La vocazione religiosa al matrimonio è un elemento destabilizzante e creativo insieme, capace di ristrutturare il rapporto coniugale nella logica folle del dono fine  a se stesso come ha rivelato la croce di Gesù Cristo.  Si scopre la radicalità trascendente dell’amore che balena in qualche modo anche nella coscienza laica. Per dirla con U.Galimberti: “noi siamo ospiti di un evento che ci trascende e nelle cose d’amore nulla possiamo decidere. Tutte le nostre scenate, le nostre gelosie, i nostri tradimenti, la nostra fedeltà sono puro schiamazzo intorno a qualcosa che non dipende da noi, ma dal cielo che ha decretato la natura della nostra anima, da cui dipende quella sua creatura che è amore”[93].

 

 

 

Conclusione

 

Le sollecitazioni da raccogliere in sede conclusiva sono di diverso ordine. Intanto l’emergenza pastorale invita la Chiesa a tarare in modo più equilibrato il matrimonio della Creazione con il sacramento del rapporto Cristo-Chiesa rivedendo la sua dottrina giurisdizionale, che peraltro è storicamente datata. La salvaguardia dello specifico religioso del matrimonio cristiano permetterebbe una lettura vocazionale in senso proprio e non in modo estensivo per tutti anche quando non c’è nessuna intenzionalità dei soggetti implicati. Inoltre sarebbe finalmente evidente il significato della celebrazione liturgica delle nozze come il contesto di fede in cui si realizza una nuova soggettività, che non sacralizza semplicemente i beni della creazione e che neppure evacua la singolarità dello sposarsi nel Signore. Il tutto nell’orizzonte antropologico-culturale della sensibilità post-moderna, che sta ripensando la coppia in termini di identità e differenza con ampi spazi alla simbolizzazione d’ordine religioso.

E’ certo che se si vuole salvare la famiglia dai rovesci patiti attualmente con la semplice riproposizione di un modello morale richiamando i valori tradizionali della fedeltà  e del sacrificio tipici della famiglia patriarcale in cui il rapporto coniugale era garantito dalla istituzione e dal clan indipendentemente dalla libertà e dalla parità giuridico-economica dei coniugi, si rischia semplicemente di parlare a vuoto. E’ più consono alla mediazione sacramentale della Chiesa il tentativo di leggere senza pregiudizi e senza condanne il travaglio della famiglia nucleare moderna per verificarne le potenzialità in ordine ad un progresso della persona e della fede. Non è detto che la crisi del sacramento nuziale di oggi non sortisca ad una più promettente stagione di autocomprensione ecclesiale del “mistero grande” dove la follia del dono di Grazia possa superare la logica del contratto.



[1]Cf. A.N.TERRIN, Androgine, sesso e coppia. Un pattern di “storia comparata delle religioni, in La celebrazione del matrimonio. Cammino antropologico ed esperienza di fede, Padova, Edizioni Messaggero - Abbazia di Santa Giustina, 1995, p.78.

[2]Cf. R.TAGLIAFERRI, Sposarsi nel Signore, in Celebrare il Mistero di Cristo. Manuale di teologia a cura dell’Associazione Professori di Liturgia, vol.II, La celebrazione dei sacramenti, Roma, C.L.V. - Edizioni Liturgiche, 1996, pp. 407-448.

[3] Cf. Quinto rapporto CISF sulla famiglia in Italia. Uomo e donna in famiglia. Differenze, ruoli, responsabilità, a cura di P. DONATI, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1997.

[4] Ruth Nanda Anshen già nel 1949 ha curato un volume in collaborazione con prestigiosi antropologi come Ruth Benedict per documentare i vari tipi di matrimoni nel mondo. Cf. R.N.ANSHEN, La famiglia, la sua funzione e il suo destino, Milano, Bompiani, 1974.

[5]D.M.BUSS, L’evoluzione del desiderio. Comportamenti sessuali e strategie di coppia, Bari, Laterza, 1995, p.4.

[6]Ivi, p.66.

[7]Ivi, p.96.

[8]Ivi, 165.

[9]Ivi, p.206.

[10]P. SCHELLENBAUM, Il no in amore. Dipendenza e autonomia nella vita di coppia, Como, Red Edizioni, 1992, p.28.

[11]Ivi, p.21.

[12]”Il ‘buon uso del tradimento’, afferma A.Carotenuto, ha a che vedere, in prima istanza, con la capacità di tradire se stessi e tale capacità è legata alla dimensione simbolica”. Non ci sarebbe nascita psicologica individuale senza l’esperienza del tradimento. “Non crescere attraverso l’esperienza del tradimento significa non avere mai accesso al mistero della vita, restare ancorati in modo completamente inconscio alla ricerca ripetitiva di un altro con cui fondersi, rinunciando al peso e alle responsabilità che la propria unicità e separatezza inesorabilmente comportano”. A.CAROTENUTO, Amare tradire. Quasi un’apologia del tradimento, Milano, Bompiani, 1997, pp.56, 113.

[13]Ivi, p.90.

[14]Ivi, p.38.

[15] Cf. A.N.TERRIN, Androgine, sesso e coppia, p.37.

[16]CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, III, 13, 92.

[17] "La gioia dell'uomo che si trova per la prima volta davanti ad un 'tu' femminile (si noti il triplice, incantato, 'questa'!) è pienamente elementare e non sa ancora niente dei 'fatti soprannaturali (Eph. 5) adombrati in questo mistero del matrimonio' (Delitzsch)". G.VON RAD, Genesi, Paideia, Brescia, 1978, p.104.

[18] Segnaliamo l’opera di J.Cottiaux come tentativo di offrire un quadro complessivo della problematica matrimoniale nell’Antico e nel nuovo Testamento. L’appunto di una certa schematicità nei quattro modelli di spiritualizzazione del matrimonio per motivi evidentemente dogmatici, non sminuisce il valore esegetico del testo. Cf. J.COTTIAUX, La sacralisation du mariage: de la Génèse aux incises matthéenes. Contribution à une théologie de développement dogmatique, à l’histoire de la discipline de moeurs, et aux problèmes posés par l’absolue indissolubilité du mariage chrétien, Paris, Edition du Cerf, 1989.

[19] G.GIAVINI, Nuove e vecchie vie per la lettura delle clausole di Mt sul divorzio, “Scuola Cattolica”, 99, 1971, pp. 83-93.

[20]Cf. M.GARBER, Interessi truccati.Giochi di travestimento e angoscia culturale, Milano, Cortina, 1994.

[21] Cf. P.DONATI, La famiglia come relazione di gender: morfogenesi e nuove strategie, in Quinto rapporto CISF, pp. 35-37.

[22] Cf. J.BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1979, pp.128-129.

[23] J.BAUDRILLARD, cit., p.14.

[24] Ivi, p.69.

[25] Ivi, p.113.

 [26]Ivi, p.130.

[27]P.DONATI, Uomo e donna in famiglia, p.381.

[28] MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli. La diseguaglianza del genere, Bologna, Il Mulino, 1995.

[29]  N.FATIO, Femme et Théologienne aujourd'hui, "Les Cahiers Protestants", 6, 1979, p.12.

[30] M.T.PORCILE SANTISO, La donna spazio di salvezza. Missione della donna nella Chiesa, una prospettiva antropologica, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1994, p.227.

[31]G.CALVI-PARISETTI, M.LUCCHINI, Uomo e donna in famiglia, p.289.

[32]G.FRAISSE, La differenza tra i sessi, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, pp.14-15.

[33]Ivi, p.97

[34] Cf. J.BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1979.

[35] C.LÉVI-STRAUSS, Introduzione di Claude Lévi-Strauss all’opera di Marcel Mauss, in M.MAUSS, Teoria generale della magiae altri saggi, Torino, Einaudi, 1991, pp. XVII-LIV.

[36] J.GIL, Corpo, in Enciclopedia, Vol.III, Città - Cosmologie, Torino, Einaudi, 1978, pp.1098-1099.

[37] H.BLUMENBERG, Passione secondo Matteo, Bologna, Il Mulino, 1992, p.137

[38] Cf. Ivi, p.39.

[39] U.GALIMBERTI, p.39.

[40] G.BATAILLE, p.116.

[41] Cf. V.FUMAGALLI, Solitudo carnis.Vicende del corpo nel Medioevo, Bologna, Il Mulino, 1990; R.TAGLIAFERRI, Il piacere e la liturgia, “Rivista liturgica”, 82, n.3, 1995, pp.201-223.

[42] Cf. H.BLUMENBERG, La legittimità dell'età moderna, Genova, Marietti, 1992.

[43] In realtà Platone ed Aristotele condannano solo i piaceri che obnubilano il pensiero. Sono i piaceri veementi come la gola e il sesso in virtù della loro potenza. Nel Filebo, dopo aver parlato dei "piaceri necessari" (63d, 2-4), Platone interroga mente e intelligenza sui piaceri più veementi ottenendo questa risposta: "E come, Socrate?, direbbero probabilmente, tali piaceri comportano per noi innumerevoli ostacoli, turbano le anime in cui noi siamo, mediante folli godimenti e dapprima ci impediscono di sorgere in un'anima e quando i nostri figli in quell'anima siano nati, come accade per lo più, totalmente li distruggono, ingenerando l'oblio di loro mediante un continuo trascurarli" (Fil. 63d,4 - 63e, 3). Aristotele nell' Etica a Nicomaco fa eco: "I piaceri sono un ostacolo all'esser saggio, e tanto più lo sono, quanto più grande è il godimento, come nel piacere erotico; infatti nessuno potrebbe pensare durante esso" (1152b, 16-18).

[44] AGOSTINO, Polemica con Giuliano, 4,14,72, Roma, Città Nuova, 1985, p.749.

[45] AGOSTINO, Le nozze e la concupiscenza, 2,7,20, in  Polemica con Giuliano, p.109.

[46] "La necessità del sentire si ha quando i nostri sensi sono costretti a percepire anche le cose che non vogliono. La libidine del sentire invece è quella che ci spinge a sentire il desiderio del piacere carnale sia che la nostra mente è favorevole, sia che è contraria. Essa è avversa all'amore della sapienza ed è nemica della virtù. Per quanto attiene all'unione dei due sessi, il matrimonio fa buon uso di questo male quando i coniugi generano i figli per mezzo di esso, ma non fanno nulla solo per esso". AGOSTINO, Polemica con Giuliano, 4,14,65, p.739.

[47] N.CUSANO, Le congetture, in Opere filosofiche, Torino. U.T.E.T., 1972, p.208.

[48] LUCE IRIGARAY, Etica della differenza sessuale, Milano, Feltrinelli, 1985.

[49] W. TOMMASI, La tentazione del neutro, in  Diotima. Il pensiero della differenza, Milano, La Tartaruga edizioni, 1991, p.92.

[50] Cf. E.LÉVINAS, Le temps et l’autre, Montpellier, Fata Morgana, 1979, pp.77-78.

[51] “Il simbolo è quell’originaria dimensione in cui si manifesta l’apertura della differenza... Che cosa produce la differenza, e perciò la relazione? Ciò è manifestamente la fessura. Ma la fessura è appunto nulla: mero orlo, ac-cadere del  (nel) nulla (Evento)”. C.SINI, I segni dell’anima.Saggio sull’immagine, Bari, Laterza, 1989, pp.166-168.

[52] “L’originarietà della differenza sessuale viene a chiarire qui il suo significato: non è una originarietà astratta, coglibile fuori della storia, come se qui ed ora io potessi decidermi a pensarmi come l’Altra prescindendo dal mio intrascendibile essere un qui e un ora. L’Altra, che pure io sono, mi si rende presente nella mia attuale esperienza della separatezza. Nominando tale esperienza io dico l’originarietà del mio essere l’Altra come ciò che si è conservato nonostante la cancellazione “. A.CAVARERO, Per una teoria della differenza sessuale, in Diotima, pp. 63-64.

[53] Cf P.A.ROVATTI, Abitare la distanza. Per un'etica del linguaggio, Milano, Feltrinelli, 1994.

[54] M.MERLEAU-PONTY, Fenomenologia della percezione, Milano, Il Saggiatore, 1980(3), p.195.

[55] Ivi, p.202.

[56] Ivi, p.213.

[57] Ivi, p.223.

[58] Ivi, p.234.

[59] Ivi, p.236.

[60]L.WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, par.199.

[61]Un esempio di grande spessore argomentativo è il tentativo di K.-Otto Apel. Partito dalle istanze ermeneutiche heideggeriane egli si è accostato alla semiotica di Peirce, che collega intimamente conoscenza e linguaggio, poi alla pragmatica dei “giochi linguistici” di Wittgenstein, che supera il solipsismo metodico della fondazione e ricorre all’uso pubblico tramite segno materiale, infine  all’agire comunicativo di Habermas, dove la fondazione ultima si risolve “affrontando la questione delle condizioni di possibilità pragmatico-trascendentali dell’argomentazione valida, in quanto tale”, ovvero verificando l’autocontradditorietà di chi pone contestazioni in quanto è parte integrante di una comunità interrogante. Cf. K.-O.APEL, Discorso, verità, responsabilità. Le ragioni della fondazione: con Habermas contro Habermas, Milano, Guerini e Associati, 1997, p.260.

[62]Cf. J.-R.SEARLE, Atti linguistici, Torino, Boringhieri, 1976.

[63]Cf. C.GIRAUDO, Eucaristia per la Chiesa. Prospettive teologiche sull’eucaristia a partire dalla “lex orandi”, Brescia, Morcelliana , 1989, pp. 112-117.

[64] Cf. R.TAGLIAFERRI, Sposarsi nel Signore, pp. 422-428.

[65]Il Vaticano II, dopo aver affermato che “l’intima comunità di vita e di amore coniugale, fondata dal creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale”, continua: “Cristo Signore ha effuso l’abbondanza delle sue benedizioni su questo amore molteplice, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa” (GS n.48).

[66]Karl Kertelge scrive: “Che l’uomo sia giustificato da Dio proprio in quanto peccatore e non, come nell’Antico Testamento e nel Giudaismo, in quanto giusto è certo un dato di fatto che si può capire soltanto a partire dalla cariV di Dio. Anche dwrean esprime in questo passo il carattere di grazia della giustificazione. Nello stesso tempo la giustificazione che si comunica al peccatore viene in questo modo caratterizzata come dono. Infatti dwrean è accusativo avverbiale di  dwrea”. K.KERTELGE, “Giustificazione” in Paolo. Studi sulla struttura e sul significato del concetto paolino di giustificazione, Brescia, Paideia, 1991, pp.101-102.

[67]A.NYGREN, Eros e agape. La nozione cristiana dell’amore e le sue trasformazioni, Bologna, Il Mulino, 1971, p.95.

[68]Ivi, pp. 95-101.

[69]Ivi, p.184.

[70]Cf. P.RICOEUR, Giustizia e amore. L’economia del dono, in D.IERVOLINO, Ricoeur. L’amore difficile, Roma, Edizioni Studium, 1995, pp. 135-153.

[71]Cf. P.DE LOCH, Funzione e limite delle pratiche etiche, personali e comunitarie, nello stabilire l’identità cristiana, “Concilium”, 24, n.2, 1988, pp.146-157.

[72]G.LAFONT, Dio, il Tempo e l’Essere, Casale Monferrato, Piemme, 1992, p.201.

[73]V.VITIELLO, Cristianesimo senza redenzione, Bari, Laterza, 1995, p.69.

[74]Cf. B.FORTE, Trinità per atei. Con interventi di Massimo Cacciari, Giulio Giorello, Vincenzo Vitiello, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, pp.68-69.

[75]G.LAFONT, Dio, il Tempo e l’Essere, p.200.

[76]Cf. J.DERRIDA, Donare il tempo. La moneta falsa, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, p.147; cf. anche J.T.GODBOUT, Lo spirito del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 1998; A.CAILLÉ, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 1998.

[77]Cf. I.CHAREIRE, Il ruolo di Cristo e dello Spirito nel processo di identificazione, “Concilium”, 24, n.2, 1988, p.140.

[78]P.DE LOCHT, p.146.

[79]Ivi, p.150.

[80]Ivi, p.151.

[81]J.-Y.LACOSTE,  Expérience et Absolu, Paris, Presses Universitaires de France, 1994,  p.99.

[82]J.-Y.LACOSTE, Expériance et Absolu, p.55.

[83] A.NOCENT, Il matrimonio cristiano, in AA.VV., La liturgia, i sacramenti: teologia e storia della celebrazione, Casale Monferrato, Marietti, 1986, p.363.

[84] “E’ sempre più diffuso il caso di cattolici che, per motivi ideologici e pratici, preferiscono contrarre il solo matrimonio civile, rifiutando o almeno rimandando quello religioso. La loro situazione non può equipararsi senz’altro a quella dei semplici conviventi senza alcun vincolo, in quanto vi si riscontra almeno un certo impegno a un preciso e probabilmente stabile stato di vita”. GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, n.82.

[85] J.DUSS - VON WERDT, Teologia del matrimonio. Il carattere sacramentale del matrimonio, in        Mysterium Salutis, vol.VIII, Queriniana, Brescia, 1975, p.555. 

[86]B.KKLEINHEYER, Riti riguardanti il matrimonio e la famiglia, in B.KLEINHEYER, E. von SEVERUS, R.KACZYNSKI, Celebrazioni sacramentali, III, Ordine, Matrimonio, Vita religiosa, Esequie, Benedizioni, Esorcismo, Torino, Leumann, 1994, p.198.

[87] S.WEIL, Quaderni, volume quarto, Milano, Adelphi, 1993, p.160.

[88] Ivi, p.161.

[89] Cf. PIER LOMBARDO, Sent.IV, d.XXVII, c.3. Questo testo, attraverso S.Tommaso (De articulis fidei et Ecclesiae sacramentis) entrerà nel Decreto per gli Armeni del Concilio fiorentino: “Causa efficiens matrimonii regulariter est mutuus consensus per verba de praesenti expressus” (DS 1327).

[90] S.ZARDONI, Il matrimonio civile nella teologia, in Il matrimonio e la famiglia, pp.73-74.

[91]Cf. B.FORTE, Trinità per atei. Con interventi di Massimo Cacciari, Giulio Giorello, Vincenzo Vitiello, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, pp.67-79.

[92]Quare inter baptizatos nequit matrimonialis contractus validus consistere, quin sit eo ipso sacramentum”.

[93] U.GALIMBERTI, Paesaggi dell’anima, Milano, Mondadori, 1996, p.236.

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