Una storia politico-economica millenaria
A mezza strada tra Parma e Piacenza, chiuse nell’emblematica disposizione di castelli pallaviciniani di Scipione, Bargone, Contignaco, Gallinella, Tabiano, le saline di Salso sono da sempre oggetto di un’altalenante disputa tra il potere cittadino e i diversi privati o feudatari, primi fra tutti i Pallavicino, che vantano diritti di estrazione del sale.
Fin dal momento in cui si concreta l’acquisizione del primo nucleo terriero nella zona dell’Aucia, intorno al 1000, i Pallavicino dispongono di una documentata serie di investiture sui pozzi.
Tra le numerose testimonianze storiche ci piace scegliere il colorato discorrere di Salimbene de Adam su Manfredo Pallavicino da Scipione: "Ancora sí Messer Manfredo l’era un om de pace e pressoché religioso: e amava i religiosi e le congregazioni monastiche, in particolare i frati Minori.
E dava il sale a tutti gli Ordini, abbondevolmente e senza carestia. Aveva nel distretto di Scipione molti pozzi di sale: e s’è fatto così ricco e signore".
Già da allora peraltro anche i comuni cittadini godono di privilegi sull’area di estrazione: Carlomagno ha investito Guibodo, vescovo parmense, del diritto di sfruttamento di alcuni pozzi fin dal IX secolo.
La politica di acquisizione proprietaria condotta soprattutto lungo il XIII secolo raccoglie a un certo punto nelle mani dei Pallavicino, sebbene attraverso rami dinastici diversi, una autentica possibilità di controllo monopolistico. Il segnale dell’insostenibilità, per i centri urbani parmense e piacentino, di una tale condizione viene già a manifestarsi nel 1212 allorché il comune di Piacenza investe a fitto perpetuo gli uomini di Salso di tutte le terre proprie per il censo annuo di quattro soldi alla pertica, al fine di favorire la fabbricazione di case da parte di chiunque volesse andare ad abitarvi. Lo stesso anno il comune si impegna a costruire un castello, dei mulini e a tracciare strade.
Gli abitanti devono cuocere la moja e dare al comune una mina di sale al giorno. Questa politica continua e si incrementa con altre operazioni di trasformazione del territorio dietro la corresponsione di prestazioni economiche per tutto il secolo XIII attraverso atti, esenzioni, investiture comunali.
Più tardi anche il comune di Parma giungerà alla stessa formulazione politica: fino alla seconda metà del XIII secolo non esiste a Parma la "gabella" sul sale ed è permesso a chiunque di venderlo al minuto in piazza. Ma a partire dagli ultimi decenni del secolo, anche in dipendenza della decaduta fortuna di Uberto il Grande (che esercitando il potere podestarile su diverse città, tra Parma e Piacenza, aveva certamente potuto limitare l’intervento cittadino nel circuito economico del sale) gli eventi cominciano a mutare e la volontà di interferenza economica del comune di Parma si concreta nella istituzione della "gabella" sul sale del 1292.
Un particolare cenno del discorso deve peraltro toccare il ruolo determinante svolto nel corso di una presenza plurisecolare sui luoghi delle saline dei frati di Chiaravalle. L’abbazia, che già nell’1143 riceve in donazione da Ogerio di Scipione e da sua moglie Oracha una pezza di terra posta in Calenzano e la loro parte di un pozzo in Salso, viene ad accumulare in pochi anni un consistente patrimonio. I frati acquistano proprietà e diritti non solo attraverso lasciti e donazioni, ma anche per mezzo di una proficua serie di acquisti e contratti d’affitto, ad esempio provvedendo allo sfruttamento di diversi pozzi per conto della chiesa di S. Antonino in Piacenza.
L’esistenza di una lunga serie di atti, acquisti, donazioni e trasferimenti in Cangelasio riguardanti il monastero di Chiaravalle dal 1141 al 1199 è infatti un interessante corredo ai rinvenimenti sul luogo, tra cui la fondamentale statua del frate con la fascina e alcuni manufatti edilizi. Il frate, rinvenuto a Portici, chiaramente impegnato nell’opera di trasporto della legna per la cottura del sale necessitante di "far andar legna in ogni tempo" è una testimonianza che ci consente di collegare la documentazione degli atti a una consistente realtà riconoscibile. Ma ancor di più, ci è ora di conforto una attestazione documentaria del primo cinquecento riguardante i "Decreti Sforzeschi" per le saline, che avremo in seguito occasione di riconsiderare: vi si afferma, riferendosi ai frati di Chiaravalle, che detti religiosi “hanno fatto edificare molte case et casine... edificij ni la detta valle (di Cangelasio) nelli luoghi dove hanno fatto tagliar detti buoschi...”
I frati si inseriscono quindi nel processo di intensa trasformazione, anche fisica delle zone di estrazione.
Pressoché nel medesimo luogo, a Portici, dove si è conservata fino a poco tempo fa la pietra con la figura del "frate di Chiaravalle" si riconosce un edificio di matrice religiosa, perfettamente conservato nella sua parte di facciata, mutilato in quella posteriore da aggiunte e trasformazioni.
Una croce che si trova sull’architrave della porta d’ingresso sigla il carattere della costruzione e ne stabilisce immediatamente la connotazione funzionale storica. A pochi metri dall’edificio, identificabile in un ospizio per la residenza dei monaci, si trova una casa-torre tipologicamente analoga alle numerose altre rinvenibili nella zona alta dello stato Pallavicino.
Lungo i secoli, e proprio per la precipua volontà dei Pallavicino, stimolati ad un certo punto dalla concorrenza dei comuni cittadini venuti a patti con essi, l’industria del sale viene assumendo un ruolo di risorsa pressoché insostituibile nel panorama economico di questa parte dell’Emilia.
L’installazione dei pozzi, l’organizzazione del lavoro, la costruzione delle case per il deposito dei vasi di sale, il disboscamento per il rifornimento della legna utilizzata a cuocere la moja e il reimpianto seguente, sono i punti della definizione ordinata di una realtà proto-industriale sul paesaggio del Basso Medioevo e del Rinascimento.
La elementare ma decisiva descrizione cartografica delle saline rinvenibile nell’Archivio di Stato di Parma nella Busta "Saline" n. 20 mostra una serie di sei cerchi concentrici disposti sul territorio che si sviluppano a partire dal centro di Salso fino a raggiungere nelle diverse direzioni Pellegrino, Varano Marchesi, la Via Emilia e Borgo S. Donnino, Vigoleno. La mappa è efficace e straordinario riassunto della originalità paesaggistica vincolata alla presenza delle industrie, laddove i cerchi delimitano e condizionano il governo del paesaggio e degli uomini a norme precise e definite.
Entro questa cornice circolare si svolgono le diverse scale di una organizzazione del territorio che è in parte, nei primi cerchi centrali, anche organizzazione della vita degli abitanti, strettamente connessa alle finalità produttive. Dalle ruote per gli ingranaggi delle macchine che estraggono la moja, fatte funzionare dagli schiavi, alla definizione circolare dell’area di pertinenza delle industrie si precisa una politica di gestione che trova la propria esplicita manifestazione nella costruzione delle strutture, residenziali o di deposito, per il funzionamento delle fabbriche, strutture la cui razionalizzazione definitiva sarà affidata, dopo il 1600, ai Farnese.
Limpido affresco indedito di questo paesaggio produttivo ci può essere offerto, ancora prima, nel 1555, quando i Farnese sono appena insediati a Parma e Piacenza e in piena presenza attiva dei Pallavicino, dai "Decreti di Salso" e da annotazioni riguardo ad essi.
Il documento, emanato da Giovanni Galeazzo Sforza per regolamentare l’uso e la produzione di una risorsa dietro la quale anche la signoria milanese intravedeva allettanti possibilità di entrate per lo Stato, offre informazioni di prima mano non solo sul presente momento della propria compilazione, ma anche attraverso espliciti, corposi riferimenti alla situazione ereditaria.
I decreti iniziano con la proibizione a chiunque di procedere a "ronchare intorno a sei miglia a Salso": "che non sia persona alchuna, de qual Statto, grado, prebenunentia, et condition voglia si sia et ardischa ne presuma, per retto ne per indiretto né sotto alcun... collore, ronchar, né far ronchare buoschi alcuni, esistenti entro il termine de millia sei di terra circumquaque al detto luoco di Salso" e continuano con la "proibitio di tagliare nel detto circuito se no ueramente ad uso delle saline": "...né tagliamo né facciamo tagliar alchuna quantità de legna..."
Spetta al Commissario amministrare le disposizioni, controllarne l’esecutività nei confronti dei "feudatari et altresì privata persona" e "volemo che le comunitade o siano feudatari che hano boschi a circumcirca per spatio de sei miglia di terra a Salso faciano li Campari nelli buoschi delle sue giurdittioni et puoi li mandano a giurare et dar segurtà in mane dil Commissario...".
"Intendemo ch’in essi buoschi... ci è fatto gran danno dalle bestie et... uolemo per conservarli che non si posano mandar da qui monti bestie alcune de quale condiction se sia sotto pena de uno ducato per bestia se trouasse in essi buoschi..."
La riorganizzazione è compiuta, attenta ad ogni particolare, tesa al conseguimento di un disegno funzionale preoccupato soprattutto di eliminare ogni forma di prerogativa ai feudatari e alle altre istituzioni, a condizionare la possibilità di una conferma, anche fisicamente espressa sul territorio, di quei poteri persistenti.
Si promuove attraverso la normativa una complessa metamorfosi territoriale al fine di reintegrare un patrimonio di risorse naturali che è imprescindibile per il funzionamento del ciclo di produzione del sale.
Anche l’alloggiamento dei soldati è impedito in Salso, Scipione e Contignaco al fine di evitare con i loro movimenti e "cauvalchate" qualsiasi danno alle colture boschive trapiantate.
Gli abitanti di Salso e Scipione, in compenso del fatto che "possano attendere di continuo alla condutta di detti buoschi et fabriche de detto sale" sono esenti dal pagamento delle "contribuzioni".
La Camera Ducale milanese fissa poi una quantità precisa di sale da attribuirsi ai Pallavicino e ai loro sudditi "et il restio di salle che si fabbricava ni li detti suoi pozzi in vasi sia a beneficio et utilità della Camera Nostra... et che el detto sal sia fabrichato de loro propri buoschi et no da altri".
Il programma di assestamento e sviluppo delle saline sembra perfetto ed è comunque, ancora una volta, motivo per pensare una straordinaria definizione del territorio: che ciò avvenga compiutamente è pressoché impossibile, né i Pallavicino, né gli altri feudatari aventi, in parte minore, diritto, né gli stessi frati della Colomba strettamente legati ai Pallavicino, sono disponibili a rispettare le ordinanze sforzesche, ma il dato è comunque da registrare come passaggio storico fondamentale per la trasformazione dei luoghi delle industrie.
Spetterà poi ai Farnese, in particolare a Ranuccio, dato che "può sapere vostra Altezza che tra l’entrate del suo Stato di Piacenza e Parma una delle principali entrate è il sale, che si vende ai suoi popoli per i suoi gabellieri... assicurare alle saline di Salso la continuità del processo produttivo, offrire all’area dei boschi un ulteriore esempio di ri-costruzione del paesaggio.
Home
|
Indice Libro
|
Indietro